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9 marzo 1923: Cento anni fa nasceva a Termoli, in provincia di Campobasso, il padre dei vignettisti italiani Benito Franco Giuseppe Jacovitti

 Nacque a Termoli, in provincia di Campobasso, il 9 marzo 1923 da padre ferroviere e operatore cinematografico e madre di origine albanese. A sette anni inizia ad interessarsi dei fumetti. La sua famiglia si trasferì prima a Macerata e poi definitivamente a Firenze, dove Benito frequentò l’Istituto statale d’arte.

Sedicenne esordì come autore, pubblicando vignette umoristiche per la rivista satirica fiorentina «Il brivido». Nel 1940 disegnò la storia a fumetti «Pippo e gli inglesi» che lo fece subito notare, procurandogli la collaborazione quasi trentennale per il settimanale «Il Vittorioso» (che chiuse nel 1970) dell’editrice cattolica AVE, che lo fece conoscere in tutta l’Italia.

L’esile corporatura del giovane Jacovitti gli valse il soprannome Lisca di pesce, che lo portò a firmare le sue tavole, appunto, con una lisca di pesce e che mantenne per tutta la vita, anche quando smilzo non era più.

Negli anni quaranta iniziò a collaborare anche con un altro settimanale cattolico, «Intervallo», pubblicando la storia satirica a puntate «Pippo e il dittatore». Sul Vittorioso disegnò decine di personaggi di sua invenzione, come la signora Carlomagno, Mandrago il mago e l’onorevole Tarzan. Nel 1957 iniziò a collaborare con «Il Giorno dei ragazzi», pubblicando alcuni dei suoi personaggi più famosi come Cocco Bill e Gionni Galassia, per poi passare per un decennio sul «Corriere dei Piccoli» e sul «Corriere dei ragazzi», dove pubblicò Zorry Kid, Jack Mandolino, Tarallino e molti altri. Per il quotidiano «Il Giorno» creò tre personaggi romani, Tizio, Caio e Sempronio, che si esprimono in latino maccheronico mentre per «Il Giorno dei Ragazzi» (allegato settimanale del quotidiano, grazie al quale la tiratura aumentava di circa 40/50.000 copie) diede vita alla saga di Tom Ficcanaso, giornalista detective protagonista di molte storie, Gamba di Quaglia, Chicchirino e Microciccio Spaccavento. Famose, sullo stesso «Il Giorno» e nell’ultima pagina, erano le sue tavole a pagina intera a colori sulle edizioni del lunedì, mentre su  «Il Giorno della Donna» nacque Lolita Dolcevita e sul quotidiano «Elviro» il Vampiro e la storia a strisce di Baby Tarallo.

Nei primi anni cinquanta fu anche collaboratore del «Quotidiano», giornale dell’Azione Cattolica, per il quale produsse vignette satiriche legate all’attualità politica dell’epoca. Dalla fine degli anni quaranta collaborò anche con «Il travaso delle idee» nel quale, insieme a Federico Fellini, diede luogo alla storia anticomunista su “due compagni” che dovette abbandonare per resistenze da parte dell’editrice AVE del Vittorioso («il grande Jacovitti – gli dissero – non può collaborare con un giornaletto del genere») e quindi Jacovitti continuò con lo pseudonimo di “Franz” mentre poi, dal 1957 al 1960, realizzò tre storie a fumetti, Sempronio, Pasqualino Rififì e Alonzo.

Fra le opere più celebri della sua nutrita produzione ricordiamo una sua interpretazione di «Pinocchio», da lui ripreso in diverse occasioni, in particolare durante nel 1945 per La Scuola, casa editrice di Brescia; seguì una versione a fumetti pubblicata da «Il Vittorioso» fra dicembre 1946 e luglio 1947; la terza per la casa editrice AVE, pubblicata nel 1964 con una serie di tavole a corredo di una edizione di Pinocchio, come nella prima versione del 1945.

Negli anni sessanta si impegnò nei caroselli con alcuni suoi personaggi come Coccobill e Zorry Kid per l’olio Teodora e Pecor Bill per la Lanerossi Vicenza. Inoltre, realizzò centinaia di campagne pubblicitarie e cartellonistica politica, come autore schierato per i Comitati Civici, con numerosi poster di natura satirica. Le soluzioni grafiche di Jacovitti in ogni caso influenzarono disegnatori come Georges Wolinski che ebbe a scrivere, nel numero di gennaio di Linus del 1974: «Jacovitti in libertà senza le pastoie della stampa per ragazzi è qualcosa di enorme».

Nella seconda metà degli anni sessanta tenne una rubrica fissa sul settimanale «L’«Automobile», incentrata sul personaggio di Agatone, ovvero una parodia dell’automobilista medio. La sua attività per «Il Corriere dei Piccoli» va dal 1968 al 1982 dando vita a Zorry Kid, Jak Mandolino con Pop Corn, Tarallino, Checco e continuando con la pubblicazione di Cocco Bill.

Nel 1974 collaborò anche con la rivista «Linus», dove creò prima Gionni Peppe e poi Joe Balordo. Nel 1978 iniziò la sua ultima collaborazione con una testata periodica, Il Giornalino, il quale continuò anche dopo la sua morte a realizzare storie sul suo personaggio più famoso, Cocco Bill, realizzate dal suo allievo Luca Salvagno..

Nell’ultimo periodo della sua attività ha illustrato il libro «Tredici favole da raccontare» di Lucia Spezzano: Il maharaja e il saggio, La lepre e la talpa, Il rospetto dello stagno incantato… questi personaggi di Spezzano sono stati gli ultimi sui quali si è concentrato per realizzare tredici tavole. Oltre che sulle molte riviste, le opere dell’artista sono state poi pubblicate in volumi antologici. Dal 1994 al 2001 è stata pubblicata la rivista «Jacovitti Magazine», completamente incentrata sull’opera dell’autore che ha ristampato gran parte della sua produzione fumettistica.

Benito Franco Jacovitti morì a Roma il 3 dicembre 1997, sei ore prima della sua adorata moglie Floriana Jodice. Quasi 50 anni di vita insieme e sono morti insieme. Avevano in comune tutto, anche l’inusuale lettera J iniziale per i cognomi italiani.

Lui 74 anni, lei 72… pochi minuti prima aveva detto: «Speriamo di poterlo raggiungere presto…». Ha raccontato la figlia Silvia al quotidiano «La Repubblica» (4 dicembre 1997): «Era un amore d’ altri tempi. Pareva li avesse concepiti Peynet…». Si erano conosciuti a Firenze, al liceo artistico. Lui era chiamato Jac come lo chiamavano gli amici o Franco per via dell’imbarazzante Benito dopo la seconda guerra mondiale. Lei era chiamata Lilli perché Floriana era andato fuori uso. Andarono a vivere a Roma negli anni Cinquanta al terzo piano di un condominio di quattro piani in una stradina buia e stretta alle spalle del Vaticano: prima da solo, scrivendole una lettera al giorno e raggiungendola anche con una sorta di storia a fumetti lunga diversi metri… segno che non potevano più stare separati, così lei lo raggiunse. Due vite ricche dentro e “avare” all’esterno, non facendo mai parlare di sé: riservatissimi e innamoratissimi. Sul loro citofono i cognomi Jacovitti * Jodice, con una stellina in mezzo. scritti a mano a differenza degli altri condomini, battuti a macchina.

Nella camera con un divano, una poltrona, una vecchia scrivania tipo banco di scuola, qualche stampa alle pareti insieme con dei disegni Jacovitti ha lavorato malpagato fino a pochi giorni prima della morte per ictus. La mattina andava a fare la spesa e per 48 anni portava a casa una rosa per la sua Lilli. Molti dicevano che pareva vivessero su un altro pianeta.

Nelle sei ore che l’hanno separata da lui, lei ha disposto tutto ciò che era necessario per i funerali, disponendo che la tumulazione avvenisse nella tomba di famiglia a Romola (San Casciano val di Pesa, Firenze), città d’origine della sua famiglia. Poi, alle quattro del pomeriggio lo ha raggiunto. Qualcuno, poco più tardi, ha imbucato una rosa nella loro cassetta della posta.

 

Riportiamo qui di seguito l’interessante box che «la Repubblica» pubblicò il 4 dicembre 1997

 

Le reazioni Forattini, Staino, Giannelli, Chiappori, Secchi e Bonelli piangono gli amici e i nemici di matita.

Ai colleghi di matita mancherà Jacovitti. Anche a quelli che in gioventù se ne tenevano a distanza. Come Sergio Staino, disegnatore di Bobo e capofila dei vignettisti di sinistra: “Per prima cosa” ha detto alla notizia della morte, «scusaci Benito, se qualche volta noi non ti abbiamo capito. Sì, è stato Jacovitti ad avvicinarmi al fumetto e gli sono riconoscente. Ma noi autori di sinistra lo abbiamo snobbato per il suo essere moderato, se non di destra. Per il creatore del mitico Diario Vitt questa avversione sarà stata una grande amarezza”. Giorgio Forattini comunque non è d’accordo a vederlo come un disegnatore di destra: “In realtà era un anarchico, ma in Italia uno è considerato di destra solo perché sfotte anche la sinistra. Aveva un cuore d’ oro, era schivo, mal pagato e libero. L’ unico fumettista a rappresentare la grande tradizione italiana nel dopoguerra. Da lui ho imparato moltissimo”. Tutti ritengono Benito un maestro. “La sua influenza è stata fondamentale per tutti noi” dice Emilio Giannelli, il vignettista del Corriere della Sera, “fin da bambino ho divorato i suoi disegni, una passione mai abbandonata, tanto che sono ancora iscritto al Club Jacovitti. Aveva una fantasia eccezionale, una straordinaria abilità grafica, uno stile personalissimo con cui i disegnatori italiani hanno dovuto fare i conti”. Dispiacere, commozione. Parole di rimpianto arrivano da Alfredo Chiappori (autore di Up il sovversivo), da Luciano Secchi, alias Max Bunker, il disegnatore di Alan Ford. “A Tex Willer mancherà moltissimo Cocco Bill” dice il papà di Tex e Dylan Dog, Sergio Bonelli, “far ridere con i fumetti è difficile. E a nessuno riusciva come a lui”.

 

 

 

 

 

 

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