130 anni dalla morte di Madre Enrichetta Dominici di Carmagnola. La sua opera educativa nella Torino dei Santi

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Ricorrono quest’anno i 130 anni dalla morte della beata Maria Enrichetta Dominici, una piemontese umile e riservata che raggiunse le alte vette della mistica, impegnata, inoltre, nell’educazione della gioventù. La preghiera fu per lei una inesauribile fonte di energia per un apostolato senza riserve che la vide cofondatrice di una congregazione religiosa che da Torino estese il proprio campo d’azione a migliaia di chilometri di distanza. Rispose sempre «si» alle maggiori responsabilità che via via la consacrazione religiosa le offriva. Fu di aiuto persino a san Giovanni Bosco, inviando due suore a Mornese agli inizi della fondazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice e quando si dovette redigere la Regola della congregazione.

Caterina Dominici nacque il 10 ottobre 1829 in una frazione campestre della città di Carmagnola, Borgo Salsasio, quartogenita, in una semplice famiglia di campagna. Aveva solo quattro anni quando i genitori si separarono e del padre non si seppe mai più nulla, una pena che la futura Beata portò per sempre nel cuore. Dio divenne il suo «Babbo Buono», prendendo il posto del padre naturale. Madre e figli andarono a vivere a Borgo San Bernardo (altra frazione di Carmagnola) con lo zio sacerdote, insieme al nonno e ad una zia. Un po’ timida, non le piaceva essere contraddetta, Caterina formò il suo carattere, improntato ad una profonda religiosità, tra casa, scuola e chiesa, tutte vicine.

Col fratello, che divenne poi un religioso somasco, giocava a fare altarini in casa, inoltre risparmiava quel poco che poteva per aiutare i poveri e gli ammalati del borgo. Certo non mancò la lettura di libri religiosi, soprattutto le vite dei santi. Elesse come patrona santa Caterina da Siena e le venne il desiderio di «essere monaca ad ogni costo». A quindici anni iniziò ad insegnare catechismo ai bambini, era «l’angelo del paese». La sua comunione con il Signore era profondamente intima, tanto da farla sentire a disagio durante le processioni religiose. Quando manifestò il desiderio di farsi religiosa, lo zio sacerdote si oppose e anche la madre non ne fu felice, sentendo la paura di restare sola. Fece di nascosto, in casa, una sorta di noviziato ma, esagerando nelle penitenze, arrivò a mettere in pericolo la salute. Leggiamo nell’autobiografia: «In chiesa mi fermavo alcune volte, specialmente nei giorni festivi, anche quattro o cinque ore di seguito… Il tempo davanti a Gesù sacramentato mi passava come un lampo. Avrei voluto starvi sempre se altri doveri non mi avessero chiamata altrove». Ma, come accade alle anime privilegiate, iniziarono pure le prove spirituali: «a poco a poco Dio mi tolse tutti i suoi doni, e io rimasi arida, fredda, insensibile. Un tal combattimento dolorosissimo per l’umanità non recò pregiudizio al mio spirito, e con la grazia di Dio proseguii in tutti i consueti esercizi e pratiche di pietà, benché più non vi sentissi il trasporto di prima». Faceva parte della Compagnia delle Umiliate, che aveva il compito di accompagnare i morti alla sepoltura. Un giorno, vincendo la naturale timidezza, trasportò sulle sue spalle una bara.

Nel 1848 la famiglia si trasferì, seguendo lo zio don Andrea, a Carmagnola. Due anni dopo, finalmente, nel mese di novembre, Caterina ottenne il permesso di farsi religiosa, non di clausura però, come desiderava, ma tra le Suore di Sant’Anna della Provvidenza. La ragazza di paese fu ricevuta nel fastoso Palazzo Barolo di Torino dalla Marchesa Giulia, che intuendo la grandezza della sua anima suggerì che prendesse il nome della nipote preferita: Caterina divenne Suor Maria Enrica. L’Istituto di Sant’Anna era stato fondato nel 1834 dal Marchese Tancredi Falletti di Barolo, il nobile benefattore torinese che con la moglie diede vita ad una moltitudine di opere di beneficenza. Oggi sono entrambi Venerabili.

La Casa Madre delle Suore di S. Anna sorgeva a pochi passi dal celebre Santuario della Consolata, così come il palazzo dei Marchesi che le aveva ospitate nei primi anni e che, ancor prima aveva ospitato i bambini di strada. Le suore di Sant’Anna, in particolare, nascevano con la missione di educarli ed istruirli. Tra i primi e più valenti collaboratori le suore ebbero la fortuna di avere Silvio Pellico, bibliotecario e segretario della nobile coppia. Suor Enrichetta, superate le difficoltà del noviziato, fece la professione religiosa il giorno di Sant’Anna del 1853. Nel 1854 venne quindi mandata a Castelfidardo, dove sorgeva una casa fondata qualche anno prima, poco distante dal Santuario di Loreto. In quella comunità il clima non era sereno, fu accolta dalle consorelle come «una spia», ma la giovane religiosa ebbe modo, in poco tempo, di farsi amare. Un anno dopo il suo arrivo in città scoppiò un’epidemia di colera e le suore prontamente si offrirono per curare i malati. Enrichetta toccò con mano la miseria umana davanti alla sofferenza e alla morte. Per tre mesi la sua dedizione fu straordinaria, il suo esempio rimase a lungo vivo nel ricordo della popolazione. Cessata l’emergenza fu nominata maestra delle novizie. Del periodo marchigiano, un giorno memorabile fu il 17 maggio 1857 quando Suor Enrichetta incontrò papa Pio IX in udienza a Loreto, con altre religiose, tra le quali santa Maddalena Sofia Barat.

Nel 1858 rientrò a Torino e venne anche qui incaricata dell’importante compito di maestra delle novizie, mentre era ormai insanabile il triste dissidio tra la Fondatrice e la prima superiora generale dell’istituto. Dopo l’intervento della Santa Sede, a succederle, nel luglio 1861, quando aveva solo trentadue anni, fu eletta proprio suor Enrichetta. Un grosso peso cadde sulle sue spalle e lei, sentendosi inadeguata, prima di accettare, si consultò col Canonico Anglesio, successore del Cottolengo alla guida della «Piccola Casa della Divina Provvidenza». Questi le disse che umilmente doveva fare la volontà di Dio. La fondatrice, in quei giorni a Lione, saputa la notizia, fece illuminare a festa il Santuario di Fourvière. Per quattro anni Madre Enrichetta dovette convivere con la deposta superiora, dando prova di grande prudenza e carità.

Madre Enrichetta rimase al governo della congregazione fino alla morte, per ben trentatré anni, portandola ad uno sviluppo eccezionale. Fondò una trentina di case, raggiungendo Roma e la Sicilia. Ad ogni scadenza di mandato fu confermata; non pareva possibile avere un’altra madre generale. Affabile e gentile, rimase sempre riservata e umile. Da giovane suora aveva sognato di andare missionaria in India, poté adempiere al voto indirettamente, mandando le sue suore. Nel febbraio 1871 partirono in sei, “le sue beniamine”, che la Madre affidò alla Santissima Trinità di cui era molto devota. Apriva una strada che porterà grandi frutti. Nell’ottobre 1879 andò di persona nella lontana India, a Secunderabad, a visitare la prima casa missionaria dell’istituto. Il 14 luglio 1884 fu ricevuta in udienza da Papa Leone XIII.

Madre Enrichetta ebbe doni mistici straordinari. Nel leggere gli scritti, l’autobiografia e il copioso epistolario, si percepisce il totale abbandono in Dio: «Oh quanto vive felice l’anima che vive totalmente abbandonata in Dio. Oh se tutti conoscessero questa felicità”, “Oh! Felici momenti in cui pare, a modo di esprimermi, che il buon Dio quasi dimentico dell’altezza della sua divinità si abbassa a questa vil creatura, l’unisce a sé e la rende una stessa cosa con Lui! Mio Dio chi potrà mai comprendere sì cara, sì dolce, sì preziosa trasformazione? Questo è un mistero dell’amore e della bontà vostra divina! Bontà, bontà infinita del mio Dio, quando mai giungerò a comprendere la tua immensità!”. “La mia preghiera è silenzio, è sguardo dell’intelletto in Dio ove la sua bontà fa sì ch’io nulla vedendo vedo, nulla sentendo, intendo e conosco le cose con una sicurtà tale che non mi rimane più alcun dubbio sul da farsi… il Babbo mi diede uno sguardo di bontà inesplicabile”. Davvero incarnò quel motto-giaculatoria che amava ripetere: «Dio è Babbo buono, sa tutto, può tutto e mi ama». Al direttore spirituale, don Pellegrino Tofoni manifestò però anche una continua aridità di spirito. Col permesso del superiore, nel compimento di ogni azione, fece l’eccezionale «voto del più perfetto» e per prepararsi, ottenne il permesso di privarsi «delle cose non assolutamente necessarie».

Un carcinoma al seno stroncò nel corpo quell’anima tutta di Dio. Si manifestò in seguito a un forte colpo al petto subìto durante una mareggiata, su un battello che a Napoli la conduceva a Messina. Lo tenne nascosto per pudore, le consorelle ne vennero a conoscenza quando ormai il male era incurabile. Da fine novembre 1893 non poté più alzarsi dal letto ma, nonostante i dolori lancinanti, continuò a guidare l’Istituto, compiendo tutte le devozioni previste dalla Regola. Si recò al suo capezzale anche la serva di Dio Maria Clotilde di Savoia.

Il medico, stupito di come reagiva alle sofferenze Madre Enrichetta, affermò: «La vostra madre da lunghi anni è preparata a morire. Sono sessant’anni che vedo e curo infermità strazianti e penosissime, e confesso che non ho mai trovato un’anima più quieta e rassegnata di Madre Maria Enrica». Dopo alcuni giorni di assopimento, poco prima di spirare, aprì gli occhi, sorrise alle suore presenti e attonite dal dolore, mormorando: «Umiltà! Umiltà!». Era il 21 febbraio 1894.

Nel 1926 le sue spoglie mortali furono traslate nella cappella di Casa Madre che sorge – come accennato – adiacente al Santuario della Consolata. Papa Paolo VI, il 7 maggio 1978, la beatificò. Ci sono attualmente case delle Suore di Sant’Anna in Italia, Svizzera, Camerun, Argentina, Perù, Filippine, Messico, Brasile, Stati Uniti e in India dove attualmente ci sono 112 case. La ragazzina nata nelle campagne della pianura piemontese, affidandosi totalmente alla Grazia, è oggi un esempio straordinario di consacrazione religiosa.

 

 

Tre immaginette molto rare riguardanti Madre Maria Enrichetta Dominici, Superiora generale dell’Istituto Sant’Anna, appartenenti a Daniele Bolognini

 

 

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