Paola Cortellesi, tutto… tranne che una principessa

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Due settimane fa, l’attrice Paola Cortellesi si è spesa in un monologo incentrato sugli stereotipi sessisti, a suo dire, presenti nelle fiabe che sono diventate iconiche nel tempo, in particolar modo su Biancaneve e Cenerentola:

 

«Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza, il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso? Perché il principe ha bisogno di una scarpetta per riconoscere Cenerentola, non poteva guardarla in faccia? Biancaneve faceva la colf ai sette nani».

 

E non basta; secondo l’attrice, i personaggi negativi delle fiabe sono sempre femminili (la strega cattiva, la matrigna, la sorellastra ecc.), mentre il potere salvifico è affidato sempre ai maschi (principi, cacciatori, taglialegna, ecc.).

Cosa c’è di sbagliato negli attacchi della Cortellesi al cacciatore, ai nani di Biancaneve e al principe di Cenerentola? Tutto…

 

 

Se Biancaneve fosse stata una «cozza», come dice in maniera “fine” l’attrice, il guardiacaccia regale (e non il cacciatore), l’avrebbe salvata lo stesso. Perché? Perché sapeva di star commettendo un atto ignobile: uccidere una fanciulla innocente, solo per l’invidia di una donna vanitosa, arrogante ed egoista. È questo che ha spinto il guardiacaccia a non compiere il malvagio gesto. Inoltre, se egli avesse agito unicamente per una bellezza femminile, Biancaneve sarebbe sicuramente morta, dato che la Regina, sua matrigna, era bella anche lei. Visto che il guardiacaccia avrebbe dovuto scegliere tra due belle donne, perché scegliere di disobbedire a quella che avrebbe potuto benissimo porre fine alla sua vita proprio per la scelta fatta, disobbedendo ad uno specifico ordine sovrano? Perché il guardiacaccia non solo sapeva cos’era giusto fare, ma era anche fedele al Re e a sua figlia Biancaneve. Alla fine della fiaba, infatti, nella versione originale, il padre di Biancaneve, una volta venuto a conoscenza del complotto della Regina nei confronti della figlia, le fa indossare con la forza due scarpe di ferro rovente, appena uscite dalla fornace.

Per quanto riguarda i sette nani, la ragione per cui avrebbero fatto fare a Biancaneve la «colf» è ancora più ovvia. La principessa, persa nel bosco, spaventata, sapendo che la sua vita è in pericolo, trova rifugio in una casetta dove vivono sette piccoli ometti, di età avanzata, che lavorano dall’alba al tramonto in miniera, un’attività pesantissima e sfibrante come ben si sa. Questi, nonostante sia una completa estranea, la ospitano ed è Biancaneve stessa a voler ricambiare la loro generosità, svolgendo le faccende domestiche, a cui i nani sono totalmente negati. È ovvio che Biancaneve voglia lavorare per loro; è il minimo, visto che essi, nascondendola, le stanno praticamente salvando la vita. In quanto principessa, Biancaneve sa perfettamente che un gesto così generoso, arrivi sia da parte di un povero o un ricco, da uno bello o uno brutto, da uno alto o uno basso, da una donna o un uomo, va sempre e comunque ricambiato.

E dopo Biancaneve, passiamo a Cenerentola. «Perché il principe ha bisogno di una scarpetta per riconoscere Cenerentola, non poteva guardarla in faccia?» si domanda Paola Cortellesi.

Anche qui la risposta è molto semplice, e l’attrice dovrebbe saperlo prima di tutti. Non per niente, in molte foto, a causa del trucco e della acconciatura, ella appare estremamente diversa in alcune foto. Cosa c’entra questo? Ricordiamoci delle origini del nome di «Cenerentola».

 

La fanciulla era stata soprannominata così dalla matrigna e dalle sorellastre, poiché la facevano sempre faticare in cucina, dove, ai suoi tempi, i pasti venivano preparati in grandi pentoloni e appesi sopra al fuoco di un camino. È proprio tra una pulizia della pentola e quella del camino dalla cenere che è nato il nomignolo di «Cenerentola». Quindi, Signora Cortellesi, se il principe l’ha vista tutta pulita, ordinata, pettinata, vestita magnificamente ed elegantemente, come avrebbe potuto riconoscerla con indosso solo stracci, il viso ricoperto di cenere e la capigliatura crespa? Se vogliamo criticare qualcuno per questioni di riconoscimento, direi che se lo meriterebbe molto di più Clark Kent che Cenerentola, visto che a lui basta un semplice paio di occhiali, per nascondere la sua identità di Superman.

Ma ora andiamo alla radice del problema, ovvero il cosiddetto sessismo nelle fiabe. Analizzando l’assurda e sciocca teoria ideologica di Paola Cortellesi, le donne non sono delle “eroine”, mentre gli uomini sono sempre “eroi”. Perché? Perché danno dimostrazione di forza, come è da loro natura?

Un principe debole può esistere, ma resta impensabile, per il semplice fatto che, un giorno, egli dovrà diventare Re, guidare un regno, avere il peso di un governo sulle spalle. Se un Re dovesse mostrarsi debole, allora il suo regno è destinato a cadere. Un chiaro esempio è la fine dell’impero russo, dovuto sì alla rivoluzione, ma anche alla leggerezza e incapacità politica dell’ultimo zar Nicola II (18 maggio 1868 – 17 luglio 1918) e della zarina Aleksandra Romanova (6 giugno 1872 – 17 luglio 1918).

È nella natura dell’uomo dimostrare la propria forza; forza posta anche al servizio della donna. La forza dell’uomo non ha solo la possibilità, ma ha il dovere di proteggere la donna. Proteggere qualcuno significa mettere la vita di quella persona al di sopra della propria. Quindi, quando un Re, un principe, un guardiacaccia, un cacciatore, un taglialegna, un nano, un contadino o anche uno schiavo protegge una donna, questo dimostra solo quanto quella donna sia importante per lui. Come è possibile che un tale eroismo non piaccia o, almeno, non sia compreso?

Inoltre, anche la donna ha il suo eroismo. Ovviamente, è un eroismo completamente diverso da quello maschile, ma questa realtà è meravigliosa proprio per questo. Si tratta di un eroismo spirituale. Un chiaro esempio di ciò è la fiaba La bella e la bastia, dove una donna, per salvare la vita al padre, accetta di diventare prigioniera di una creatura dall’aspetto bestiale. Eppure, basta solo la sua presenza per migliorare l’atteggiamento di questo essere apparentemente crudele, tanto che fra i due nasce un amore puro e profondo e, dopo sacrifici e promesse, la bestia torna ad essere quello che era realmente: un principe che era stato punito da una fata, per il suo egoismo. La bella ha salvato il suo amato sia dall’incantesimo che da se stesso, senza l’uso della forza fisica, ma “solo” attraverso la potente forza spirituale. Dante Alighieri mise in versi sublimi questa potenza muliebre.

Un altro bel esempio è la fiaba Tremotino: la storia di una donna che era riuscita a diventare Regina grazie all’aiuto di uno gnomo. Ma quest’ultimo, alla fine, si approfittò della sua generosità, facendole promettere di consegnargli il suo primogenito e, alla fine, la Regina riuscì a sconfiggere quella specie di folletto e a salvare il suo bambino.

Ma se la Cortellesi desidera un po’ più di “azione”, allora dovrebbe conoscere la fiaba La stufa di ferro, dove la principessa, dopo aver liberato il principe da un incantesimo che lo aveva rinchiuso in una stufa di ferro per azione di una strega, lo deve salvare prima che sposi un’altra donna e, per farlo, deve superare diverse prove, come scalare una montagna di cristallo o passare sopra tre lame di spada. Ci sono anche I dodici cigni selvatici da considerare, dove la principessa, per salvare i suoi dodici fratelli dall’incantesimo che li ha trasformati in cigni, accetta di smettere di parlare e, cosa ancora più difficile, di fare dodici maglie unicamente con le ortiche, lavorando a mani nude.

Per quanto riguarda la bellezza femminile, non è vero che una donna brutta è sempre malvagia e una donna bella è sempre buona. Un esempio è proprio la matrigna di Biancaneve, ma ce ne sono altri. Nella fiaba Mamma Holle o Fata Piumetta, la fata in questione è una vecchia dall’aspetto raccapricciante, ma il suo animo è ancora più puro della protagonista della storia. Infatti, dopo che quest’ultima aveva fatto per lei la «colf», Mamma Holle la ricompensa, ricoprendola tutta d’oro; mentre la sorellastra, che si era rifiutata di svolgere le mansioni domestiche per la fata, viene tutta ricoperta di pece.

Un altro esempio lo troviamo nella fiaba I tre cedri, dove il protagonista, un principe, incontra una donna molto brutta, ma la tratta con gentilezza, tanto che, alla fine, lei lo aiuterà, donandogli, appunto, tre cedri.

In quanto ai cattivi nelle fiabe, come ci sono personaggi negativi femminili, ce ne sono altrettanto maschili: principi arroganti e malintenzionati (L’acqua della vita), stregoni (Il fedel Giovanni), maghi (Aladino e la lampada magica), orchi (Pollicino), visir maligni (Il principe Ahmed e la fata Parì-Banù). Ma se vogliamo un esempio “femminista”, prendiamo Barbablù, che uccideva le proprie mogli, tenendo presente, però, che l’ultima lo ha sposato unicamente per denaro, senza neanche volerlo conoscere per quello che era veramente.

Inoltre, una delle più coraggiose, nonché la più significativa, tra tutte le eroine delle fiabe è la sirenetta; quella originale, ovviamente, e non quella della Disney, completamente stravolta (ancor di più nel secondo film). Signora Cortellesi, secondo Lei, quale coraggio è più grande di quello che fa rinunciare alla propria felicità per quella di qualcun altro? La sirenetta non solo ha salvato la vita al suo principe, ma lo ha seguito fin sulla terra ferma, rinunciando alla propria voce e patendo dolori atroci ad ogni passo che compiva con le sue gambe umane. Eppure, ha preferito rinunciare alla sua vita e alla sua felicità, piuttosto che spezzare quelle del suo amato. Tuttavia, alla fine è stata generosamente ricompensata del proprio sacrificio.

Insomma, abbiamo dimostrato che ci sono molte figure femminili positive nelle fiabe (le principesse, le regine, le fate, le sirene, le figlie, le madri…). Quindi, l’attacco alle fiabe di Paola Cortellesi non è altro che uno sciocco tentativo di aumentare la sua popolarità, prostrandosi alle idee distruttive del femminismo. Peccato che sia aumentata solo in senso negativo, come dimostra la lettera aperta di Alberto Mascioni:

 

Gentile Paola Cortellesi,

mi permetta una riflessione sulle Sue considerazioni inerenti la favola di Biancaneve che a Suo parere sarebbe sessista in quanto, la bella fanciulla protagonista, avrebbe fatto da colf ai sette nani. 

Innanzitutto Le faccio notare che fare la colf non è un disonore, ma un lavoro dignitoso come tutti i lavori onesti.

Sicuramente non sarà la massima aspirazione professionale per donne e uomini (sì, perché vi sono anche molti uomini che svolgono tale mansione), ma non tutte hanno avuto la fortuna che ha avuto Lei. La fortuna di nascere bella, di avere un innegabile talento e soprattutto di avere la capacità di ruffianarsi a destra e a manca (nel Suo caso solo a manca) per ottenere visibilità e successo. Ma ciò non toglie che chi passa il battitappeto su quel red carpet sul quale sfilano quelle come Lei agghindate in mises firmatissime e luccicanti di gioielli, svolga un lavoro meno dignitoso.

 Ma torniamo a Biancaneve. La fanciulla aveva tutte le caratteristiche per diventare una “Cortellesi d’Antan”. Era bellissima ed era pure una principessa, quindi poteva aspirare ad un trampolino di lancio in società non indifferente.

 Però a causa di una cattiva matrigna, la nostra Biancaneve si ritrovò abbandonata in un bosco e ivi rimase viva per miracolo, cioè salvò la pelle solo grazie alla pietà di un uomo, il guardiacaccia di corte, che disobbedendo agli ordini della sua padrona (la matrigna di Biancaneve) non uccise la fanciulla.

 E già qui, volendo fare l’esegesi della favola in chiave moderna, come ha fatto Lei, potremmo dire che il femminicidio fu commissionato da una donna, ma non ebbe luogo solo grazie al buon cuore di un maschio. Ma lei si è guardata bene dall’evidenziare ciò, perché questo particolare non è propedeutico (anzi sconfessa) la narrazione mainstream femminarda (uomo cattivo e violento /donna buona e indifesa) della quale Lei si è erta a profetessa.

 Ma veniamo al nocciolo del “problema” da lei sollevato. È vero che nella favola Biancaneve si rimbocca le maniche e si occupa delle faccende domestiche per i sette nani, ma lo fa volontariamente e lo fa perché i sette nani che ogni giorno si rompono la schiena per 14 ore in miniera, l’hanno amorevolmente ospitata nella loro modesta casetta.

 Quello che emerge da questa favola è la storia di una donna che è sfuggita alla furia omicida di un’altra donna grazie ad un uomo e che è sopravvissuta grazie al buon cuore di altri uomini che la hanno ospitata disinteressatamente e lei da donna dignitosa ha provveduto ad operarsi per ricambiare l’ospitalità ricevuta.

 Ma forse a Lei cara Cortellesi sarebbe piaciuta una Biancaneve che una volta installatasi nella casetta dei sette nani avesse chiesto la separazione in tribunale e preteso di avere la casa assegnata e un assegno da parte dei sette nani per il suo mantenimento! Ma ciò succede nella realtà, non nelle favole. Purtroppo!

Cordiali Saluti, Alberto Mascioni.

 

Una fiaba, una VERA fiaba è pensata unicamente per dare alle persone, di qualsiasi età, i giusti valori della vita. Valori che il femminismo e le loro complici puntano di distruggere…

Ma non ci riusciranno mai, perché la verità è sempre e comunque destinata a vincere. La fantasia, se resta al servizio della verità, non potrà mai sparire e i nostri eroi ed eroine sconfiggeranno orchi e streghe, per poi vivere, com’è giusto, felici e contenti.

Paul Hey (1867-1952), Cenerentola viene condotta dal principe a palazzo, 1939

 

 

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