Lettera al Direttore di Luca Gori

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Gentile Direttore,

Le domando perché, in passato, le donne cristiane mettevano il velo? Quale significato aveva questo indumento, per la religione cristiana?

La ringrazio per la sua disponibilità!

Cordiali saluti!

Luca Gori

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Egregio Signor Luca Gori,

per rispondere al suo cortese quesito, occorre, prima di tutto, sgombrare il campo da un equivoco: è necessario distinguere il velo, che ha un valore simbolico e di cui tratteremo un poco più ampiamente, dal fazzoletto posto a copertura del capo, che, invece, ha fini pratici.

Quest’ultimo serve essenzialmente per riparare la testa dal sole e raccogliere il sudore. In ambiente rurale, dove gran parte della giornata si svolgeva all’aria aperta, compiendo attività fisiche, riparare il capo era, in epoche passate ancor più di quanto lo sia oggi, una necessità. A questa esigenza, di ordine eminentemente pratico, gli uomini hanno maggiormente risposto con l’utilizzo di cappelli, molto utili per ripararsi dal sole, ma assolutamente inadatti a raccogliere il sudore, quantunque non manchino nella storia, anche occidentale, gruppi sociali, non solamente di ambiente rurale, nei quali anche gli uomini si coprono la testa con un fazzoletto, più frequentemente utilizzato nella foggia di bandana. Il suo maggiore utilizzo da parte delle donne è, probabilmente, dovuto, oltre che al desiderio di mantenere un aspetto più ordinato, anche nello svolgimento di lavori fisicamente impegnativi, alla maggiore necessità di raccogliere il sudore, dettata anche dal fatto che esse, tradizionalmente, portavano i capelli lunghi, a differenza degli uomini.

Di maggiore momento simbolico e spirituale è il velo femminile. Dal punto di vista fisico, esso consiste in un pezzo di stoffa, di varia consistenza e di vario spessore, unito o traforato, ricamato o liscio, semplice o prezioso, che, tendenzialmente, copre i capelli della donna.

Per comprenderne il significato, occorre tenere presente il valore fisico e simbolico del capello femminile. Dal punto di vista fisico, la capigliatura rappresenta, per la donna, una delle più importanti armi di seduzione, tanto da divenire, sul piano allegorico, simbolo della stessa femminilità. Un esempio tragico, ma, forse proprio per questo, particolarmente significativo, del rapporto tra capelli e femminilità e tra femminilità ed umanità della donna è rappresentato dai campi di concentramento nazisti, dove le deportate venivano rasate; questa prassi, apparentemente “innocente”, è, invece, particolarmente crudele, perché esprime, anche fisicamente, il tentativo di completa reificazione[1] della persona. Per poter completamente disumanizzare una donna, è necessario privarla della sua femminilità; per fare ciò, privarla dei capelli è particolarmente efficace, poiché va a colpire il simbolo esteriore della sua più intima natura femminile. E quanto questo sia terribilmente efficace è dimostrato dal fatto che il rasare una donna ed il porla al pubblico ludibrio viene compiuto ogni qual volta la si voglia umiliare nella maniera più pesante e crudele possibile, soprattutto quando motivi di tale crimine sono di natura politica e/o ideologica.

Tutto ciò premesso, si comprende come il valore simbolico del velo sia intimamente connesso con la castità e la fedeltà coniugale. Esso ha sempre rappresentato uno strumento di protezione della donna dagli sguardi indesiderati. Poiché, come dicevamo, i capelli rappresentano, per l’universo femminile, un oggetto capace di suscitare forte attrazione nell’altro sesso, il loro “utilizzo” viene “regolamentato” da regole, normalmente consuetudinarie, tese a renderlo meno frequente e, quindi, ad accrescere il valore della donna, che non «getta in pasto a tutti» questa sua ricchezza. Il primo documento normativo, a riguardo del velo, è un testo assiro del XIII secolo a.C., che, appunto, vieta l’uso del velo alle donne non nobili, consentendolo solo alle aristocratiche, in modo da tradurre anche visivamente la loro superiorità.

In tutte le civiltà, la pudicizia è sempre stata considerata come un tratto distintivo delle donne di livello superiore; e, proprio in quest’ottica, l’uso del velo ha sempre rappresentato uno strumento di elevazione della donna che lo indossa, proprio per questa sua connessione con il pudore. I suoi rapporti con l’etica sessuale ne hanno fatto, in alcune religioni, oggetto di normazione; si pensi, a titolo di esempio, all’Islam.

Nel mondo cristiano, la Chiesa ha sempre esaltato e comandato il pudore e la conseguente morigeratezza del vestiario, soprattutto femminile. In quest’ottica, il velo ha rappresentato uno dei mezzi per esprimere tale pudore, ma il suo utilizzo è sempre dipeso dal valore simbolico che, nei vari contesti culturali, ha acquisito. Ne consegue che esso non è mai stato comandato in senso assoluto, come il dovere etico a sé stante, ma solo quando la sua assenza avrebbe significato mancanza di pudicizia.

Discorso diverso vale per il suo utilizzo in chiesa, in maniera particolare durante le funzioni religiose e, ancora più specificamente, durante la Santa Messa, e per le suore. In chiesa, di fatto, non è mai stato oggetto di un espresso comando, quanto, piuttosto, una pia consuetudine, soprattutto nei Paesi latini e, in particolare, in Italia. Qui non si è mai trattato di un utilizzo esclusivo del velo, quanto del fatto che la donna, in chiesa, veniva e viene ritenuto opportuno che si rechi a capo coperto; ciò per significare che, in quel luogo, tutta la sua persona e, quindi, anche la sua femminilità sono sottratte al mondo ed interamente offerte a Dio: il velo, da strumento di pudicizia, si eleva a significati mistici, quale mezzo di preghiera. Il fatto, sia detto per inciso, che l’uomo, in chiesa, debba andare a capo scoperto riveste un significato analogo: per lui, il portare il cappello in presenza di altri è un rimarcare la propria non inferiorità; si pensi, ad esempio, alla consuetudine di togliersi il copricapo per salutare o alla tradizionale differenza fra il Grande di Spagna scoperto ed il Grande di Spagna scoperto[2].

Discorso analogo, anche se ad un livello spirituale superiore, vale per le suore. Esse, con il «prendere i voti», divengono spose di Nostro Signore Gesù Cristo e, come tali, Gli consegnano tutta la loro persona e, quindi, anche la loro femminilità; di qui il rito dell’acquisizione del velo, con relativo taglio dei capelli. Il significato è quello non solo di una rinuncia totale al mondo, ma anche di una totale sottrazione della propria persona al mondo: il velo deve essere portato in ogni circostanza pubblica, perché la suora è sempre completamente di Dio ed a Lui non può essere sottratta neppure da uno sguardo mondano. Si comprende, quindi, come, da un punto di vista simbolico, la rinuncia a portare il velo da parte di, purtroppo, molte suore moderniste sia particolarmente grave, poiché simboleggia la rinuncia ad essere completamente ed unicamente spose di Gesù.

 

[1] Reificazione, dal latino res (cosa) e facere (fare), normalmente riferito ad un atto che ha per oggetto una persona, significa rendere nell’altrui considerazione la persona pure semplice oggetto, senza che le possa essere attribuito alcun valore spirituale; questa criminale operazione raggiunge il suo apice ed il suo completo successo quando anche l’interessato si convince di essere solamente una cosa.

[2] Il Grande di Spagna è detto «scoperto», quando deve togliersi il cappello in presenza del Re, mentre viene definito «coperto», quando non è tenuto a farlo.

 

 

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