Lettera al Direttore di Luca Gori

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Egregio Direttore,

ho letto la risposta alla mia lettera, pubblicata il 26 gennaio scorso, e La ringrazio molto!

Mi scusi se sono un po’petulante, ma ho altri due quesiti da porgerLe.

Primo. Io penso che, il confronto tra le diverse religioni, sia importante! Ma Le domando: su quali temi è utile dialogare? E in che modo va fatto questo confronto, tra le varie fedi? E, inoltre, come bisogna comportarsi con gli “Integralisti musulmani”, che non vogliono confrontarsi? Perché nemmeno è giusto rinunciare alla propria fede!

Secondo. A Suo parere, la Chiesa, all’epoca, ha fatto bene a organizzare le Crociate? Io penso proprio di no!!! Il Papa utilizzava il santo nome di Dio, semplicemente per i suoi interessi personali!!! La verità è che, la Chiesa, non aveva nessuna intenzione di difendere la fede cristiana, ma, semplicemente aveva come unico fine, quello di conquistare le terre degli altri popoli, per avere potere e dominio, per sottometterli e per imporre il proprio credo!!! Attribuire a Dio le opere di Satana, è bestemmiare contro lo Spirito Santo!!! Inoltre, il Signore Dio si sa tranquillamente difendere da solo; non ha di certo bisogno dei Templari o del Papa!!!

Mi perdoni, se questa volta sono stato prolisso, ma ci tenevo a chiarire argomenti di fede, importanti!!!

Porgo cordiali saluti e ringrazio per la disponibilità!

Luca Gori

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Egregio Signor Gori,

innanzitutto, desidero ringraziarLa della fiducia che ci rinnova. Le questioni che Ella pone sono particolarmente importanti, perché, nella loro concatenazione, costituiscono la base concettuale del Modernismo, solo premettendo loro i relativi antecedenti logici.

Le religioni si dividono in rivelate e naturali. Le prime pretendono che Dio stesso abbia rivelato il loro contenuto; le seconde, invece, si accontentano di presentarsi come riflessioni di uomini e, quindi, non si distinguono in maniera netta dalle filosofie e dalle correnti filosofiche, delle quali si potrebbe dire che siano una sotto-categoria. Da ciò consegue, logicamente, che le religioni naturali possono dialogare tra loro e reciprocamente contaminarsi, perché ogni riflessione umana, anche in argomento religioso, può sempre essere migliorata ed arricchita da apporti nuovi. Il discorso muta completamente per quanto concerne le religioni rivelate.

Se Dio, che è infallibile per definizione, ha rivelato Se stesso o, meglio, ciò che di Lui l’uomo può comprendere, è ovvio che tale rivelazione non possa, in nessun modo, essere arricchita, ampliata, migliorata o, peggio, corretta dalla riflessione umana e dal confronto con altre credenze: la rivelazione divina è, per definizione, perfetta e contiene in sé tutto ciò che l’uomo può comprendere e, nelle religioni soteriologiche[1], tutto ciò che gli serve per la salvezza. Il confronto, finalizzato allo scambio di idee ed al mutuo perfezionamento, è, dunque, concettualmente impossibile tra religioni rivelate, poiché ciascuna, nell’ipotesi in cui dovesse accettare di mutare qualcosa del proprio contenuto, riconoscerebbe implicitamente di non essere divina rivelazione, ma frutto di un abbaglio umano e, conseguentemente, si condannerebbe all’autodistruzione.

Il confronto tra le religioni, anche rivelate, può, invece, avvenire con finalità missionarie o di proselitismo, che dir si voglia: fedeli preparati di una religione, ancor più se rivelata, possono utilizzare il confronto pubblico con altre credenze e/o con loro seguaci per dimostrare la veridicità della propria dottrina e, conseguentemente la falsità di quella avversaria; è, ad esempio, il caso di San Francesco di Sales (1567-1622), che sfidava i calvinisti in pubblici dibattiti, onde far emergere tutta la falsità e l’insostenibilità, anche razionale, dell’eresia del cosiddetto “riformatore” di Ginevra.

Forse può essere utile aprire una piccola parentesi per approfondire il concetto di «dialogo», che non può mai essere il fine, ma solo sempre un mezzo per raggiungere un diverso fine. Come dice la sua stessa etimologia[2], dialogo significa «attraverso la parola»; rimane, quindi, imprecisato che cosa, attraverso la parola, si voglia ottenere. Qualora, invece, il dialogo e/o il confronto divengano il fine, l’unico mezzo rimane l’apostasia, almeno implicita, dalla Fede, perché, se non si usano le parole per convertire l’interlocutore, vuol dire che si è disponibili a raggiungere, con lui, un qualche compromesso dottrinale e, conseguentemente, ad abbandonare, almeno in alcuni punti, i contenuti della Fede e questo, appunto, si definisce apostasia.

Tutto quanto detto non significa, però, che un cattolico non possa dialogare con un seguace di un’altra religione, senza avere necessariamente il fine della sua conversione; la finalità di questo dialogo, però, non può mai avere contenuto religioso: si possono (e, molte volte, si devono) ricercare accordi e compromessi con persone ed istituzioni acattoliche, ma per questioni pratiche, economiche, sociali, politiche… Mai, ripeto, su questioni di dottrina o di morale. Gli uomini, anche di religioni diverse, possono confrontarsi e dialogare, per raggiungere, anche onorevolmente, compromessi, ma le religioni (rivelate) non possono dialogare, proprio perché pretendono di essere immutabili, provenendo da Dio.

Visto che, in campo religioso, l’unico fine del confronto è, per un cattolico, la conversione dell’interlocutore, coloro che non accettano di confrontarsi e di poter ricevere le prove logiche dei loro errori religiosi, portano la responsabilità di questo loro scarso amore per la verità e di questa loro indisponibilità a correggersi e, conseguentemente, ci liberano dal rischio di peccato di omissione nei loro stessi confronti.

Anche la lettura storiografica e dottrinale delle Crociate che Ella propone è figlia del Modernismo, vale a dire dell’accettazione, da parte di sedicenti cattolici, delle calunnie che la “cultura” anti-cristiana e, in particolare, anti-cattolica ha diffuso a piene mani, a partire dalle correnti più estremistiche dell’Umanesimo e del Rinascimento, con un crescendo “rossiniano” nell’Illuminismo, e sposate in modo assolutamente critico da alcuni filoni del Protestantesimo. E qui si vede come questo Suo secondo quesito sia indissolubilmente connesso, almeno sul piano dottrinale, con il primo.

Sul piano storico, le Crociate sono guerre difensive e non offensive, tese a rispondere, sia pure con colpevole ritardo, alla generalizzata aggressione militare che l’Umma islamica ha portato, fin dalla sua nascita, al mondo cristiano, oltre che a garantire la libertà di pellegrinaggio in Terrasanta.

Fin da prima di Maometto (570-632), i predoni del Nord dell’Arabia compivano sistematiche incursioni, figli di saccheggio, delle regioni meridionali dell’Impero bizantino, tra le quali la Siria e la Palestina. Con la nascita dell’Islam, queste aggressioni si trasformarono in un vero e proprio piano di conquista, atteso all’islamizzazione di quelle popolazioni cristiane. La conquista avvenne già nel VII secolo, poco dopo la morte del fondatore della religione musulmana. Il clima era oppressivo, la libertà della Chiesa era conculcata, venne instaurato un rigido regime di “apartheid” su base religiosa: i pagani furono costretti alla conversione, pena la morte, mentre i cristiani e i seguaci del Giudaismo furono ridotti ad uno stato semi-servile, che va sotto il nome di «dimmitudine»[3]. Tramite accordi, che facevano affluire rilevanti quantità d’oro nelle casse dell’Umma, i cristiani avevano ottenuto il diritto di pellegrinaggio nei luoghi più santi della Fede e, in particolare, a Gerusalemme. Ed i cristiani si accontentarono.

Con la creazione del grande impero dei Turchi Selgiuchidi, all’interno dell’Umma, con, di fatto, un controllo della stessa, anche se i loro sovrani rimasero solo sempre Sultani e non divennero mai Califfi, a partire dagli inizi dell’XI secolo, la situazione dei cristiani di Palestina peggiorò drasticamente ed i pellegrinaggi furono impediti, con massacri ed eccidi, che suscitarono grande sdegno in tutta la Cristianità, soprattutto occidentale.

Parallelamente a questo, sempre nella ricerca di una maggiore fedeltà all’Islam ed alla sua purezza, contro gli ammorbidimenti e gli “imborghesimenti” che, a loro avviso, caratterizzavano l’atteggiamento conciliante degli arabi, i turchi, oltre ad angariare i cristiani in Palestina, ripresero l’aggressione all’Impero bizantino. Nel 1095, l’Imperatore bizantino Alessio I Comneno (1048-1118) inviò una lettera con richiesta di aiuto a Papa Urbano II. Si era da pochi decenni consumato il Grande Scisma d’Oriente (1054), che ha separato molte chiese del Levante cristiano da Roma. Il Papa ha risposto con prontezza, invitando i principi cristiani a correre in soccorso di Costantinopoli, forse anche nella speranza di riavvicinare i Greci a Roma e di ricucire lo scisma.

Così sono iniziate le Crociate, che hanno rappresentato la prima reazione cristiana alla continua aggressione islamica, reazione che, purtroppo, si è, nel giro di due secoli, intiepidita ed ha permesso la distruzione dell’Impero bizantino e di Costantinopoli, il crudelissimo asservimento delle popolazioni cristiane del sud dell’Europa orientale all’Impero ottomano e l’espansione di quest’ultimo in direzione di Roma, fermata solo a Lepanto (7 ottobre 1571) sul mare ed a Vienna (11-12 settembre 1683) per terra.

Per quanto riguarda i Cavalieri Templari, cui Ella fa riferimento, essi nacquero (1118) proprio per difendere i pellegrini, che si recavano a Gerusalemme, dalle brutalità e dagli eccidi dei musulmani. Questo modo di sentire, questo afflato mistico, prima ancora che caritativo, ha caratterizzato tutto lo spirito delle Crociate, che, appunto, erano denominate, fino al XIX secolo, come «peregrinationes armatae» (pellegrinaggi armati).

Sul piano dottrinale, poi, le Crociate hanno sempre rappresentato, per l’infallibile dottrina cattolica, il più alto esempio di «guerra giusta», nella mirabile definizione che ne ha dato, tra gli altri, San Tommaso d’Aquino (1225-1274).

Proprio sul tema delle Crociate, Europa Cristiana prevede, nei prossimi mesi, di pubblicare uno Speciale, per approfondirlo, non solo in chiave storica, ma anche per tutte le implicazioni di attualità e di principio che lo caratterizzano.

 

 

[1] La soteriologia, dal greco σωτηρία (soteria) = salvezza e λόγος (logos) = discorso, ragionamento, è la via che conduce alla salvezza. Le religioni soteriologiche, quindi, sono quelle che pretendono di indicare all’uomo una strada, che, se seguita, lo salva.

[2] Dialogo deriva dal greco διά (dià) = attraverso, per mezzo di e λόγον (logon) = parola, discorso, ragionamento.

[3] È lo status giuridico, indicato ufficialmente con il termine arabo dhimma, che significa letteralmente «patto di affidabilità» e «patto di protezione», riservato dal diritto islamico ai seguaci di una delle «religioni del Libro», vale a dire le religioni monoteiste con un testo sacro; non esiste un elenco tassativo di tali culti, ma solo il criterio per identificarli. La protezione accordata dall’Umma a queste persone consiste nel permettere loro di vivere (i pagani che non si convertono, teoricamente, devono essere sterminati) mantenendo la loro religione, sia pure con pesantissime limitazioni, che, di fatto, impediscono il culto pubblico, pagando le imposte (da cui i musulmani sono esentati) e rimanendo esclusi da ogni tipo di gestione dello Stato.

 

 

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