Caro Direttore,
la sua rivista on-line ha sempre mantenuto un occhio benevolo verso il presidente russo Vladimir Putin, e devo dire che anch’io ho sempre provato una certa simpatia ed un certo senso di sicurezza pensando a lui, ma ascoltando le sue parole, quando, in maniera neanche troppo velata, minaccia il pianeta di distruzione nucleare, se gli occidentali sostengono l’Ucraina e le Repubbliche baltiche, ho cominciato a pensare che, forse, avevano ragione quei miei amici che me lo presentavano come un pericolo. «I russi sono sempre russi» mi dicevano.
Lei come interpreta quelle parole e, più in generale, l’atteggiamento e la personalità di Putin, più ancora che la sua politica.
La ringrazio e le auguro buon Natale.
Emanuela Canestrini – dirigente d’azienda
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Gentilissima signora Emanuela Canestrini,
mi permetta di rassicurarla: quando si vuole scendere in guerra, soprattutto in un conflitto che si presenta terrificante anche per la propria popolazione, non lo si annuncia e non lo si minaccia, ma lo si inizia, sperando di trarre il massimo profitto dalla cosiddetta «dottrina di primo colpo», vale a dire sperando di colpire l’avversario in maniera tanto distruttiva da ridurne al minimo la capacità di reazione. Ma veniamo al nocciolo del suo gentile quesito.
Innanzitutto, mi permetta di spezzare una lancia in favore di quei suoi amici, a cui Ella accenna nella lettera: è assolutamente vero che «i russi sono sempre russi» e che russo vuole dire imperiale. Ma occorre intendersi: il russo, come dicevamo, è, al tempo stesso, imperiale e russo, vale a dire imperiale e nazionale.
Pare quasi un ossimoro, poiché Impero significa privo di limiti, di confini, tendenzialmente esteso a tutto il mondo, mentre Stato nazionale vuol dire Stato che occupa i territori di naturale pertinenza di quella nazione. Come può l’anima russa conciliare questi due concetti astrattamente contraddittori?
Lo può fare unicamente sulla base di quella dottrina religiosa e politica che va sotto il nome di «Terza Roma», vale a dire il principio secondo il quale Mosca avrebbe ereditato, passando per Costantinopoli, le due caratteristiche fondamentali della Città Eterna, cioè essere, al tempo stesso, capitale dell’Impero della civiltà (fuori dell’Impero, per i romani, c’erano solo i barbari) e centro della vera Cristianità, che, non per nulla, si autodefinisce «ortodossa», anche se sarebbe più corretto definirla «greco-scismatica». E la missione del popolo russo è, in quest’ottica, la più nobile che sia concepibile sulla terra, vale a dire quella di servire e difendere tale civiltà cristiana, cioè la civiltà. E questo principio è, persino, passato nell’Unione sovietica, sostituendo, ovviamente, la fede cristiana con il credo marxista.
In Russia, l’Impero è sempre stato concepito in questo modo e la sua espansione territoriale ha sempre avuto una giustificazione difensiva, come per i romani. Per i russi, quindi, la lotta per la sopravvivenza e la tutela della propria dimensione imperiale sono sempre state e sono tuttora sinonimi.
Ecco che, per venire alle questioni più specificamente attuali, non viene percepita differenza tra il voler impedire ai russi di Crimea o delle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina di ritornare ad essere parte della civiltà e l’aggredire direttamente Mosca o San Pietroburgo. Di qui la durezza delle parole di Putin, quando afferma di non voler prestare attenzione allo «squittire» degli europei che protestano per la reazione russa al loro tentativo di preservare l’«integrità territoriale dell’Ucraina», cioè di voler impedire al Governo di Mosca di assolvere alla sua funzione imperiale di tutela dei suoi sudditi, anche nelle regioni più occidentali dell’Impero. Questo non significa ricercare lo scontro con la Nato, ma solo pretendere che questa non cerchi di far venir meno il popolo russo alla sua missione.
Una volta salvaguardato l’onore russo ed una volta permesso a Mosca di non venir meno a quelli che, più ancora che i suoi più sacri doveri, sono i fondamenti della sua stessa identità nazionale e morale, ogni compromesso ed ogni accordo diviene possibile.
Con la nuova politica estera americana, concretizzatasi con l’annunciato ritiro delle truppe dalla Siria, questo equilibrio pare più vicino ad essere raggiunto e, quindi, le parole, apparentemente così aggressive di Putin, rivestono, invece, la necessità di giustificare, in senso imperiale, la nuova politica di non solo coesistenza pacifica, ma, in prospettiva, di sperata collaborazione con l’Occidente.
1 commento su “Lettera al Direttore di Emanuela Canestrini”
E’ la chiarezza dell’esposizione di un concetto che – mi si permetta – non è certo facile a chi Russo non è, e che abbaglia in prima lettura. Adottati gli opportuni occhiali protettivi e rilettolo se ne intravvede, dopo attento studio, la dimensione e il fascino della sua consistenza. La Sig.ra E. Canestrini (forse della schiatta Canestrini Ing.?) ne sarà contenta!. Alla Sig.ra il mio ringraziamento per aver stuzzicato tanta VOX ! AlPe 2-1-2019