Lettera al Direttore di Antonietta Verde

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Egregio Direttore,

gradirei che ci illustrasse quali sono, ammesso che esistano, i motivi profondi dell’ostilità di Papa Francesco nei confronti di Matteo Salvini e, più in generale, della Lega. In particolare, vorrei sapere se le ragioni sono unicamente politiche o se hanno anche carattere religioso.

Ringraziando Lei e tutti i Suoi collaboratori per il meritorio lavoro che fate, La saluto cordialmente.

Antonietta Verde

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Gentilissima Signora Verde,

lo scontro tra Papa Francesco e Matteo Salvini non è riconducibile a mere questioni politiche, ma investe il cuore stesso della Fede cattolica. In brutalissima sintesi, potremmo affermare che si tratti di una delle manifestazioni dell’insopprimibile scontro tra la concezione della Fede del Modernismo e quella del Cattolicesimo.

Per la Chiesa, la Fede è il libero assenso dell’intelletto alle verità rivelate; si tratta, quindi, di un atto di ragione, sia pure sostenuto dalla volontà. La ragione, come è noto, ha per oggetto la conoscenza della verità, che consiste nella perfetta corrispondenza tra l’enunciato e la realtà oggettiva. Le verità di Fede, quindi, hanno carattere oggettivo e non dipendono, per nulla, dal soggetto credente e/o da sue caratteristiche personali.

Per i modernisti, invece, la Fede sarebbe un sentimento[1], che promana dal cuore dell’uomo e, dunque, avrebbe carattere totalmente soggettivo, variando da persona a persona, da momento a momento, da epoca ad epoca… I dogmi, poi, altro non sarebbero che cristallizzazioni del sentimento religioso prevalente all’epoca della loro proclamazione e non verità eterne, sempre credute ed immutabili. Le verità di Fede, quindi, non avrebbero carattere oggettivo; la stessa Resurrezione di Nostro Signore, ad esempio, non sarebbe un fatto storico[2], ma un fatto soggettivo che avviene nel cuore del credente ogni volta che egli ci crede, un frutto del suo sentimento religioso. Di qui la riduzione della testimonianza religiosa a manifestazione esterna di un proprio sentimento, escludendo ogni oggettiva pretesa di verità; il credente deve limitarsi a presentarla, al massimo, come sua opinione personale; se avesse “l’ardire” di parlarne come di oggettive verità sarebbe un “presuntuoso” che vuole “imporre” al prossimo suoi sentimenti, che gli altri hanno tutto il diritto di rifiutare. Se, poi, tali dettati della dottrina cattolica fossero in contrasto con il «comune sentire», vale a dire la sensibilità prevalente in un dato momento storico, egli dovrebbe “ragionevolmente” porsi il problema se tale sua adesione non sia un atto di asocialità censurabile e non sia il caso di “adeguare” la Fede alle “conquiste” contemporanee.

Di qui nasce il mantra dell’«aggiornamento» del Concilio Vaticano II. Aggiornamento è, nel linguaggio conciliare, una parola tecnica che assume il significato di adeguamento della Fede al pensiero moderno. Aggiornare, letteralmente, significa «mettere a giorno», sottinteso odierno, vale a dire alla moda del momento; aggiornare, ad esempio, una relazione significa modificarla, tenendo conto di quanto avvenuto nel frattempo, per impedirle di essere antiquata, superata e non più adatta al momento attuale. L’aggiornamento, quindi, è applicabile solo a ciò che perde attualità con il trascorrere del tempo ed il fluire della Storia e, dunque, necessita di essere modificato. Applicare l’aggiornamento alla Fede significa, conseguentemente, dire che essa non è la credenza in verità eterne ed immutabili, ma che tale credenza, per essere ancora valida, necessita di un continuo adeguamento a quanto il comune sentire di ogni epoca ritiene accettabile. È di ogni evidenza che, se si muta la credenza, si muta anche il contenuto della stessa, il suo oggetto; ne consegue che, aggiornando la Fede, se ne altera il contenuto, al fine di renderlo compatibile con i tempi e ciò può essere fatto solo sul presupposto che tale contenuto, cioè Dio, non sia eterno ed immutabile o, almeno, che non lo sia ciò che di Lui abbiamo conosciuto finora e che il fluire della Storia e delle mode ideologiche sia, nella ipotesi minimale, in grado di farci conoscere meglio Dio, meglio di quanto la Rivelazione di Nostro Signore abbia fatto, al tempo della Sua Incarnazione. È chiaro che si tratta di una bestemmia che dichiara, almeno implicitamente, falsa la Fede, se non altro sul piano oggettivo: e si torna alla concezione sentimentale e soggettiva della Fede stessa di cui abbiamo detto.

Papa Francesco o, meglio, Jorge Bergoglio è il Pontefice che, come dottore privato[3], ha più coerentemente incarnato questa deriva modernista e soggettivista. In quanto da lui pubblicamente affermato, la Fede è sostanzialmente ridotta ad una dimensione terrena, nella quale la tradizionale dimensione teocentrica, in cui Dio è il centro di tutto e la Sua adorazione è l’essenza della vita religiosa, è sostituita da una antropocentrica, dove questo ruolo spetta all’Uomo e dove il dovere centrale di tutta l’etica è la carità fraterna. Di qui il sapore lato sensu politico che hanno i suoi discorsi e le sue affermazioni. Si ricordi, a titolo di esempio, l’intervista (19 febbraio 2016) nella quale ha affermato che il giudizio sulla legalizzazione del matrimonio omosessuale sarebbe una questione banalmente politica, di cui si dovrebbero occupare le Conferenze episcopali interessate, mentre le modalità di pattugliamento di un confine (erezione di muri) sarebbe il discrimine tra chi è cristiano e chi no!

L’aver reso la dottrina mutevole e l’averla, conseguentemente, mondanizzata hanno elevato la politica da parte dell’etica a cuore, per non dire essenza, dell’essere cristiani; parlo di essere cristiani e non di Fede, perché il focus è posto soggettivamente sul comportamento dei singoli e delle comunità, invece che sugli oggettivi contenuti. Il nemico di tale visione è, ovviamente, il Cattolicesimo di sempre e conseguentemente chi a tale Fede vuole rimanere, nonostante tutto, fedele. Ma l’attacco non è sui contenuti, ma sulle persone: sarebbero cattivi (e, quindi, non cristiani) coloro che non hanno amore, ovviamente verso ciò che ama lui. Ecco che non è ritenuto necessario, né utile contestare contenuti o violazioni di principi e/o norme del diritto canonico, ma, semplicemente, si contesta il diritto a non fare o dire ciò che egli vuole si faccia o si dica; l’aggressione ai Francescani dell’Immacolata ne è un esempio plastico: l’Ordine è stato, di fatto, sciolto, senza che ai suoi vertici originari si sia contestato alcunché, se non il «non sentire cum Ecclesia», vale a dire cum Bergoglio, anche se sentivano come San Francesco (1181/2-1226) e San Massimiliano Kolbe (1894-1941).

In quest’ottica, i suoi bersagli principali, a livello planetario, sono Donald Trump e Matteo Salvini (e la Lega), perché sono riusciti a dare, almeno a livello politico, un ubi consistant ai cattolici contrari alla svolta marxisteggiante imposta dal suo Pontificato alle massime Gerarchie della Chiesa. L’obiettivo vero, però, non sono tanto loro o le loro politiche, ma la sopravvivenza del Cattolicesimo di sempre. Ma non praevalebunt, come ha assicurato il Signore: «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa [la Chiesa]»[4]

 

[1] L’enciclica Pascendi Dominici gregis (8 settembre 1907) di San Pio X (1835-1914), che rappresenta la più alta definizione del Modernismo, ci dice che, seguendo questa dottrina eretica, dovemmo «conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità».

[2] Per «storico», in questo contesto, si deve intendere un fatto oggettivamente accaduto, indipendentemente dal fatto che sia creduto o meno, come, ad esempio, l’uccisione di Giulio Cesare (101/100-44 a.C.), avvenuta alle Idi di marzo (15 marzo) del 44 a.C.

[3] Si dice che il Papa parla come «dottore privato», quando lo fa esprimendo proprie opinioni personali e non impegnando la Fede dei cattolici.

[4] Mt 16,20.

 

 

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