Carissimo Direttore,
approfitto dell’ospitalità del suo sito per sottoporle una “quaestio” che necessita però di alcune brevi considerazioni introduttive:
«intus est hostes»!
Dopo mezzo secolo e più in cui sentimmo risuonare, via via sempre meno deboli e lontane, voci di allarme sul nemico alle porte, ecco che (finalmente!) il misterium iniquitatis si sta svelando: il nemico lo abbiamo in casa, nella nostra casa, la Santa Madre Chiesa.
Se da un lato dobbiamo imparare ad essere grati alla Provvidenza, che ha ormai spazzato via le nebbie dell’ambiguità e del “qui lo dico, ma qui lo nego” che in questi ultimi tempi ci hanno ammorbato, dobbiamo altresì imparare che cosa deve fare un credente che voglia rimanere cattolico.
Se è vero, infatti, che «Dio non è cattolico» come sostiene il Suo vicario in terra (che possiamo pertanto ritenere, per la più elementare proprietà transitiva, non essere a sua volta cattolico) dobbiamo anche noi porci la questione: del «che fare»?
Spiriti profetici come Padre Calmel O.P., studiosi come Marcel De Corte, il “nostro” apologeta Alessandro Gnocchi e altri sono giunti alla conclusione che oggi non sia più il tempo del “fare”, cioè di opporsi con ogni mezzo alla Rivoluzione, come sinora abbiamo tentato poveramente, ma di “fare l’opposto” della Rivoluzione (copyright di J. De Maistre, se non sbaglio), e cioè di santificare noi stessi fraternamente riuniti in piccoli gruppi omogenei «erigendo barriere di santità» (P. Calmel).
A me pare che il leninistico interrogativo si ponga così come una sorta di cartina di tornasole per l’agire di quelli che non sono e non vogliono essere figli di questo mondo e cioè figli della Rivoluzione: non “che fare?”, dunque, ma che cosa “non fare”!
E vengo alla quaestio:
Le chiedo: se in qualche misura ritiene di condividere questa visione, come atteggiarci?
Esclusa, mi pare di poter dire, una pura e semplice «fuga mundi», che cosa vuole qui, oggi, il Signore da noi?
Grazie dell’attenzione!
Piero Peracchio – Avvocato
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Carissimo Avvocato,
per rispondere alla Sua prima domanda, debbo innanzitutto dire di non poter condividere nella maniera più netta la premessa. Di tutti gli autori da Lei citati, mi sento di sottoscrivere solo la frase di Padre Roger Thomas Calmel, dove afferma che all’eresia che devasta la Chiesa possiamo reagire solo «erigendo barriere di santità».
Ma che cos’è la santità?
La santità è dedicare la propria vita all’amore di Dio; e l’amore verso Dio si esprime immediatamente ed innanzitutto nell’amore verso Nostro Signore Gesù Cristo, che, a sua volta si sostanzia nel fare la Sua volontà in ogni istante della nostra vita. «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14,21).
Il primo passo per compiere la volontà di Dio è, dopo la purezza della Fede, l’accettare e l’amare le concrete circostanze in cui Egli mi chiama a vivere, quello che la Chiesa ha sempre definito come «stato». E, ciascuno nel proprio stato, è necessario compiere il proprio dovere, appunto detto «di stato». Si potrebbe dire che la santità è tutta qui: compiere il proprio dovere di stato in grado eroico.
E questo è vero in tutti tempi, senza eccezioni. Certo, mi si potrebbe obiettare che i tempi attuali sono eccezionali, che i massimi Pastori della Santa Chiesa abiurano la Fede e tentano di condurre i fedeli all’errore ed al peccato, che, per un laico, sia difficile trovare sacerdoti ancora fedeli alla dottrina ed ai sacramenti di sempre, che quelle che erano eresia e perversioni di pochi oggi sono ritenute parte integrante della vita cattolica, che la stragrande maggioranza di coloro che oggi si autodefiniscono cattolici (e, magari, sono anche sinceramente convinti di esserlo) negano verità di Fede e/o, soprattutto, le verità di ragione propedeutiche ed indispensabili alla Fede…
Tutto vero, ma il principio non cambia: ciascuno è chiamato unicamente alla propria santificazione e tutto il resto è mezzo o conseguenza di ciò. Da qui discende il discrimine tra il «fare» ed il «non fare»: ciascuno deve compiere il proprio dovere di stato e le conseguenze sui destini collettivi ed anche sull’attualità terrena di Santa Madre Chiesa sono conseguenze “involontarie” e non possono e non debbono MAI essere il fine dell’azione. Ecco che la medesima domanda, «che fare?», in bocca ad un marxista si riferisce all’azione politica, con eventuali riflessi sull’anima e sull’etica di chi la compie, in bocca d’un cattolico, invece, si riferisce all’azione spirituale, con eventuali riflessi politici e/o ecclesiali. Questo non significa disinteresse per la vita attuale della Chiesa, ma, al contrario, per la propria santificazione è necessario amare la Sposa di Cristo: il miglior amore verso di Lei, però, consiste nella propria santificazione nella preghiera, che, come scriveva Padre Jean-Baptiste Gustave Chautard, è «l’anima di ogni apostolato».
Bisogna, però, fare molta attenzione alla teoria dei piccoli gruppi omogenei: essa rischia di creare uno spirito neo-calvinista da nuova «Ginevra dei santi», dove ciascuno si rinchiude con quelli elettivamente più affini, in una sorta di autoproclamata maggiore purezza. Questo mette in grosso pericolo la vita cattolica, anche perché tende ad eliminare o, quanto meno, a ridurre la soggezione dei laici ai sacerdoti e di questi ai loro confratelli, con un avanzamento nella mentalità liberal-protestante, che, in partenza, si voleva combattere. Su queste questioni, mi permetto di rimandare, anche per ragioni di necessaria brevità, ad un articolo apparso tempo fa su «Riscossa Cristiana», dal titolo «La Fraternità San Pio X, la Tradizione e la Chiesa» (qui).
Mi permetto anche di segnalare un ulteriore rischio, di carattere religioso e dottrinale, anche nell’ideologico aventinismo politico. La vita cattolica non consente di abiurare a nessuna delle caratteristiche della natura umana e, quindi, nemmeno alla socialità ed alla conseguente dimensione politica. L’ideologica rinuncia al momento politico conduce, se protratta nel tempo, alla devianza dalla retta dottrina, come dimostrano gli stretti rapporti tra l’Intransigentismo ed il Modernismo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo; si pensi, a titolo di esempio, alla vicinanza politica e spirituale tra Don Davide Albertario e Don Romolo Murri.
Per concludere questi brevi cenni di un discorso che meriterebbe ben altra ampiezza, mi permetto di suggerire a ciascuno di noi la vicinanza a sacerdoti pienamente cattolici, l’assistere regolarmente al Santo Sacrificio della Messa di sempre, l’elezione di un direttore spirituale di perfetta dottrina ed il fare gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, anche nella forma mirabilmente ridotta a cinque giorni da Padre Ludovic Marie Barrielle.
2 commenti su “Lettera al Direttore dell’Avvocato Piero Peracchio”
Risposta totalemente condivisibile, grazie!
Gentile Direttore, neanche io sono d’accordo riguardo ai piccoli gruppi omogenei, conventicole infine autoreferenziali che producono rari frutti (ma è questo l’auspicio di Gnocchi quando parla di santità personale?); ho ricevuto una educazione per cui la ricerca della propria santità contribuisce alla santità della Chiesa. In parole semplici, se tu ti comporti da vero cristiano, diventi un esempio e la santità si allarga e si estende nel prossimo. Ma oggi, nella confusione che purtroppo constatiamo e anche con grande dolore, quanto sia difficile trovare aiuto e conforto nei mezzi che lei suggerisce ( direttore spirituale, Santa Messa di sempre…) è un dato di fatto. Quanto desidererei averlo un sacerdote a cui costantemente aprire il mio cuore, ché le mie confessioni non mi rasserenano mai, e quanto sarei felice assistendo, almeno la domenica, alla messa che ho frequentato fino ai primi anni della mia giovinezza! Ma non mi è possibile, materialmente impossibile, non li trovo. È dunque in pericolo la mia anima, oltre al dolore che provo per questa, come dire, assenza, o mancanza che continuamente mi rattrista? D’altra parte, pur difendendo la tradizione in cui sono salde le mie radici, non accetto l’asprezza cieca di certi giudizi che circolano là dove invece – e mi spiace tanto dirlo – dovrebbe praticarsi il vero amore cristiano, senza sconfinare così nella superbia irragionevole. Ho il cuore in subbuglio, ma prego la Madonna, la Vergine Santissima che tutto può, di avere pietà di me e di soccorrermi, come ha sempre fatto.
E a lei, Direttore, rivolgo un grazie, se vorrà ascoltarmi.