Lega e M5S: due visioni del mondo ed un Governo

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In questi ultimi giorni, grande risalto ha avuto la polemica tra i due Vicepresidenti del Consiglio, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, e, più in generale, tra il primo e tutto il Movimento 5 Stelle sulla questione dei termo-valorizzatori e del complessivo problema dello smaltimento dei rifiuti; essa, inoltre, fa seguito e si intreccia a quella sulle grandi opere, a partire dalla TAV.

Queste contrapposizioni nascono dalla diversità politica e, in ultima analisi, dalla diversa visione del mondo e del futuro dell’Italia, che dividono la Lega ed il Movimento 5 Stelle, partiti che, però, sono costretti a governare insieme dall’assenza di reali alternative politiche.

Le elezioni del 4 marzo u.s. ci hanno consegnato un Parlamento nel quale la formazione politica guidata Di Maio è il primo partito, capace di ottenere la maggioranza tanto alleandosi come il Partito Democratico, che ha rifiutato tale opzione, quanto con la Lega, che, invece, ha colto l’occasione e ha dato vita all’attuale Esecutivo. Lo scontro, alla vigilia del voto, era tra il Pd, che rappresentava il Governo e la prosecuzione dell’incondizionato ossequio alle direttive eurocratiche, l’opposizione di centro-destra, politicamente, anche se non numericamente, egemonizzata dalla Lega, incentrata su una drastica lotta all’immigrazione clandestina, un forte abbassamento delle tasse, con, addirittura, il superamento dello stesso concetto di progressività, il superamento della cosiddetta legge Fornero ed una posizione sull’Europa che andava da espressioni euro-critiche alla volontà di uscire dall’euro (Borghi e non solo), e, infine, l’opposizione grillina, che faceva propria la posizione leghista sulla Fornero, ma incentrava la sua critica al Governo sulla lotta ai presunti privilegi della “casta”, con venature tipicamente pauperiste ed una ostilità, ora aperta ed ora sottintesa, verso le grandi opere e le grandi infrastrutture.

I risultati elettorali hanno, di fatto, cancellato dal panorama politico l’ortodossia europeista del Pd, portandolo sotto il 19%, ma, soprattutto, rinchiudendolo in una lotta tutta giocata al suo interno, che lo ha reso incapace di rappresentare una reale alternativa politica. Le successive elezioni locali hanno certificato come questo trend fosse definitivamente avviato, portandolo a sconfitte generalizzate in tutto il Paese, a partire proprio dalle regioni e dalle aree in cui aveva, storicamente, rappresentato un solido sistema di potere, Toscana in primis, sconfitte appena attenuate dalla riconferma di alcuni suoi sindaci, causata, però, dalle doti e dalla popolarità dei medesimi più che dal traino del partito.

Il centrodestra ha, invece, proseguito ed accentuato la dinamica che lo ha portato al quasi successo del 4 marzo: crescita, nel suo complesso, e progressiva egemonia, anche numerica, oltre che politica, della Lega al suo interno.

Il Movimento 5 Stelle ha conosciuto, a partire dalle elezioni politiche, un lento ripiegamento, accompagnato da sempre più vistose divisioni interne.

Ma che cos’è avvenuto dopo il 4 marzo?

Già quelle elezioni avevano segnato la scomparsa politica della linea “governativa”, filo-europeista, sostenitrice della finanziarizzazione dell’economia, garante del diritto all’immigrazione, paladina dei cosiddetti «diritti civili» e, almeno di fatto, punta di lancia dell’imposizione della teoria del Gender nella scuola e, più in generale, in tutta la società. Ma, di fronte a questa debacle, non si è assistito al trionfo di una opposizione, ma allo stallo dato da due diversi antagonisti del vecchio sistema, che, trovatisi improvvisamente padroni del campo, si fronteggiavano. Per uscire da questa situazione, la Lega e, in particolare, Matteo Salvini hanno accettato di spaccare, momentaneamente, il centrodestra e di andare al Governo da soli con il Movimento 5 Stelle, anche se in una posizione fortissimamente minoritaria rispetto quest’ultimo: hanno poco più della metà della rappresentanza parlamentare del loro interlocutore. Tale operazione è stata “formalizzata” con la firma di un documento congiunto, denominato «Contratto di Governo», nel quale le due formazioni politiche si davano i maggiori obiettivi che l’Esecutivo era chiamato, nel corso della legislatura, a conseguire, in un compromesso tra i rispettivi programmi elettorali.

L’attivismo politico leghista, che è riuscito a condizionare la stessa immagine del Governo, ha, di fatto, portato il dibattito politico a concentrarsi in una sorta di scontro tra i difensori della sovranità o, almeno, dell’autonomia nazionale ed i fautori della sottomissione al potere eurocratico ed al volere delle Autorità comunitarie. I provvedimenti dell’Esecutivo non hanno, finora, rappresentato nulla di rivoluzionario, ma solo un porre le basi per una graduale riappropriazione, da parte dell’Italia, della sua sovranità.

Sul fronte dell’immigrazione, si è, da un lato, proseguita la politica Minniti di riduzione degli sbarchi, con concessioni politico-diplomatiche nei confronti della Libia, affiancando a quelle fatte al Governo di Tripoli forti aperture verso quello di Tobruk e verso l’Egitto, suo maggiore sponsor, oltre ad incrementare la chiusura nei confronti delle ONG operanti nel Mediterraneo centrale; si è, dall’altro, colpito il sistema di cooperative che sull’accoglienza aveva, in questi anni, costruito un vero e proprio impero economico, operazione che il precedente Esecutivo si era ben guardato dal fare. Questa politica ha, inevitabilmente, condotto allo scontro con l’Unione europea e, soprattutto, con la Francia, che ha visto messa in discussione la sua politica anti-italiana in Africa ed all’interno delle Istituzioni comunitarie.

Sul fronte dell’ordine pubblico, poi, si sono iniziati una serie di sgomberi di aree e di edifici occupati abusivamente, mostrando, così, che la politica della tolleranza e della, più o meno dichiarata, vicinanza a certe pratiche si possa considerare definitivamente tramontata.

Sul fronte economico, invece, il ruolo del Movimento 5 Stelle è apparso politicamente più marcato, soprattutto per ciò che concerne la Legge di stabilità, dove un peso particolarmente importante hanno avuto il cosiddetto «reddito di cittadinanza» e le cosiddette «pensioni di cittadinanza» e dove le riduzioni del carico fiscale, almeno per il 2019, sono state molto limitate. Questo, però, ha di fatto costretto il partito di Di Maio a reagire con forza alle pressioni della Commissione europea, spostandolo su posizioni “sovraniste”, che, almeno originariamente, non gli appartenevano.

Queste dinamiche, che hanno fatto crescere il consenso della Lega un poco in tutto il Paese, hanno creato molti malcontenti nel partito di Beppe Grillo, soprattutto in quella che viene definita «l’ala ortodossa», vale a dire la corrente più movimentista e “di sinistra”, poiché hanno visto la loro forza politica schiacciata sulle posizioni del partito di Salvini e, più in generale, della “destra sovranista” europea, da cui hanno sempre cercato, talora con difficoltà, di prendere le distanze. Questi malumori sono, poi, cresciuti anche perché la concreta azione di Governo si è dimostrata e si sta sempre più dimostrando come incompatibile con le loro posizioni da «decrescita felice», soprattutto sul tema infrastrutture; qui hanno dovuto incassare già una cocente smentita delle loro posizioni pre-elettorali, quando l’analisi costi-benefici, prevista dal contratto di Governo per la prosecuzione di tutte le grandi opere pubbliche, ha dato esito favorevole alla prosecuzione del gasdotto Trans-Adriatico (TAP) ed amarezza analoga dovranno, molto probabilmente, sopportare in merito all’alta velocità Torino-Lione.

Questa situazione ha portato il Movimento 5 Stelle ad accentuare i suoi toni ideologici e “barricadieri”, quasi a controbilanciare un’immagine eccessivamente “governativa” che Luigi Di Maio pareva aver dato del partito; sembra quasi che si senta la necessità di autodefinirsi come «un partito di opposizione momentaneamente al Governo», parafrasando la celebre frase con cui Pierluigi Bersani ha definito il Pd.

La contrapposizione con la Lega non potrebbe essere più frontale.

Il partito di Salvini, da sempre, ha una cultura tesa alla costruzione di un futuro che nasce dalla soluzione dei problemi del presente; una cultura dove il programma discende da una realistica visione dell’esistente e dei mezzi necessari per correggerne le storture, dove la competenza è una delle più alte forme di onestà, dove, come Salvini ripete spesso, «non esistono decrescite felici». Questo non significa passiva adesione al prassismo[1], ma, al contrario, realismo nella concreta opera di miglioramento della società.

All’ideologismo immobilista del Movimento 5 Stelle, la Lega contrappone la concreta soluzione dei problemi. Ecco che alle grida contro le grandi opere, Salvini risponde proponendo, per il problema dei rifiuti in Campania e non solo, i termo-valorizzatori, soluzione economicamente vantaggiosa ed ecologicamente efficace.

Come è, dunque, possibile che due forze politiche così distanti governino insieme?

Preso atto, da parte di entrambe, dell’assenza di soluzioni alternative, per evitare un nuovo “Governo tecnico” alla Mario Monti, hanno finito per dar vita al presente Esecutivo. Ma quanto può durare? E, soprattutto, con quali conseguenze?

Durerà sino a quando uno dei due partiti non riterrà più conveniente, per l’affermazione della propria linea politica, il ricorso alle urne ed avrà la ragionevole certezza che il Capo dello Stato scioglierà le Camere e non imporrà, magari sotto il ricatto dei “mercati”, l’ennesimo Governo tecnico.

Più complesso è il discorso a riguardo delle conseguenze: si tratta di un continuo “tiro alla fune” o, meglio, di un insieme di tiri alla fune; di volta in volta, ciascuno cercherà di concedere all’interlocutore quello che reputa che incida di meno sul disegno complessivo di mutamento della società e dello Stato italiani che vuole raggiungere. Finora questo delicato equilibrio ha condotto il nostro Paese sulla strada della ricerca di una maggiore sovranità[2], se mi si perdona l’ossimoro; la strada è ancora lunga ed accidentata, ma le premesse finora poste paiono condurre ad un ulteriore avanzamento su questa via.

 

[1] Per prassismo si deve intendere la teoria secondo la quale i dettami etici conseguono a ciò che materialmente avviene, al contrario della morale tradizionale, dove l’etica, conseguente alla natura metafisica, detta le finalità del comportamento e la liceità dei mezzi per raggiungerle.

[2] Per sovranità deve intendersi il completo e totale potere di qualcuno su qualcosa e, quando si usa il vocabolo in assoluto, senza riferimento ad alcunché, si allude alla totale indipendenza dello Stato. È, quindi, evidente che essa c’è o non c’è, senza possibilità di una sua graduazione.

 

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2 commenti su “Lega e M5S: due visioni del mondo ed un Governo”

  1. Meloni, Fitto, Storace e Polverini vogliono creare un nuovo soggetto politico di Destra unendo le loro forze.
    Forse questo nuovo partito potrà allearsi con la Lega e formare un governo di centrodestra che escluda i 5 stelle.

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