Il Congresso Mondiale delle Famiglie a Verona e la battaglia contro l’aborto

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Venerdì 29 marzo u.s. Massimo Gandolfini, dal palco del «Congresso Mondiale delle Famiglie», ha dichiarato che dal 1978, anno di approvazione della legge 194 che legalizza l’aborto, in Italia sono stati uccisi, sottinteso “legalmente”, 6 milioni di bambini. L’affermazione ha suscitato reazioni sdegnate, normalmente scomposte, ma nessuna smentita nel merito, se non attraverso affermazioni generiche e/o clamorosamente false; un esempio fra i tanti è l’articolo dell’inviata di Repubblica Maria Novella De Luca «Verona, via tra le polemiche al Congresso Mondiale delle famiglie. Gandolfini: “Aborto omicidio, la legge 194 non aiuta”», in cui si dice espressamente che «il pro-life cita numeri non attendibili», quando i dati ufficiali del Ministero della Sanità ci dicono che, dall’entrata in vigore della legge al 31 dicembre 2017, gli aborti effettuati sono 5.895.368. Altra “provocazione” sarebbe stata, secondo i critici, la distribuzione di una riproduzione in gomma a grandezza naturale di un feto di 10 settimane, accompagnata da un cartoncino con la scritta «L’aborto ferma un cuore che batte», definito, nel medesimo articolo, «gadget-shock».

La questione, però, non è tanto sui toni, quanto sulla sostanza di fondo: coloro che criticano Gandolfini e, più in generale, il convegno di Verona non contestano e neppure condannano, in linea di massima, singole affermazioni, ma, normalmente senza dirlo in maniera particolarmente esplicita, negano il diritto a porre in discussione le cosiddette «conquiste di libertà», che fanno il discrimine tra una posizione politica o, anche solo, come nel caso di Verona, culturale accettabile ed una che non lo è. L’accusa, generica, è quella di voler negare diritti ad altri e, secondo questa logica, nessuno dovrebbe essere autorizzato a propagandare pubblicamente idee che, appunto, «tolgono diritti ad altri».

Prima di entrare nello specifico della questione dell’aborto, conviene soffermarsi sull’assoluta irrazionalità e, conseguentemente, falsità della tesi suddetta. Essa, in pratica, sostiene che l’estensione di alcuni “diritti”, o presunti tali, nei confronti di specifiche persone o categorie di persone non compromette quelli degli altri; si giunge ad affermare che sia legittimo rivendicare dei diritti solo se questo non compromette, diminuisce o elimina diritti altrui. Risulta difficile comprendere come una teoria tanto demenziale possa essere sostenuta con tanta arrogante baldanza.

Ogni diritto comporta, inevitabilmente, il dovere corrispondente, in capo a chi quel diritto deve rispettare. Il diritto alla vita in capo a ciascuno, ad esempio, comporta il dovere da parte di tutti gli altri all’astenersi dall’ucciderlo. Conseguentemente, l’estensione di diritti in capo a qualcuno comporta la diminuzione di diritti o l’estensione di doveri (che è un modo diverso di dire la medesima cosa) in capo a qualcun altro. L’attribuire, ad esempio, al coniuge superstite il diritto di subentro nel contratto d’affitto stipulato dal defunto, comprime il diritto di proprietà del padrone dell’immobile, che si vede legato contrattualmente ad una persona con cui non aveva stipulato alcun negozio giuridico.

Mentre, come abbiamo detto, ad ogni diritto corrisponde un dovere, di cui il titolare della legittima pretesa può esigere l’adempimento, non sempre è vero l’inverso: esistono doveri che non generano diritti corrispondenti, in quanto i loro beneficiari non possono pretendere che vengano assolti; esempio classico sono i doveri di carità.

Tornando, però, alla questione del convegno di Verona, si potrebbe dire, se non si trattasse di questioni tragiche, che si è caduti nel ridicolo. I sostenitori del cosiddetto «diritto della donna all’aborto» arrivano a sostenere il “diritto” della madre a sopprimere il nascituro che porta in grembo, che tale “diritto” non lede alcun diritto altrui e che, conseguentemente, chiunque voglia tutelare il diritto del nascituro alla vita, magari auspicando l’abolizione della legge 194, non lo può fare, perché è inaccettabile che qualcuno pubblicamente chieda che la legge «tolga dei diritti ad altri»!

La questione dell’aborto è divenuta un tema tabù, che non si ha il diritto di affrontare, soprattutto quando si riesce a farlo fuori dei cosiddetti circoli «dell’estrema destra cattolica». La rabbia e la scompostezza delle reazioni del fronte abortista dimostrano che, al suo interno, serpeggiano più paure più timore di quanto i sostenitori della vita normalmente pensino. Il convegno di Verona ha, se non altro, dimostrato che il mutamento del clima politico su altre questioni (immigrazione, Unione europea, Islam…) viene giustamente percepito come foriero di una possibile rimessa in discussione anche dei cosiddetti «diritti civili», di cui l’aborto è uno degli architravi.

Nonostante l’unanimismo pressoché assoluto dei mezzi di comunicazione di massa a cercare di far diga contro quello che viene percepito come un pericolo grave da tutta la sinistra, cui, ovviamente, si è accodato il Movimento 5 Stelle, i loro timori dimostrano di avere un fondamento, se alla manifestazione contro il convegno di Verona, svoltasi nella medesima città scaligera ed indetta dalle organizzazioni femministe, tra cui spicca, per ruolo organizzativo, «Non una di meno», dalle organizzazioni omosessualiste, dalle cosiddette «famiglie arcobaleno», dai Verdi, dai Radicali, dall’Arcigay, dai sindacati, con la presenza, tra gli altri, di Laura Boldrini, Livia Turco, Susanna Camusso e Maurizio Landini, hanno partecipato 20.000 persone, a fronte di una manifestazione dei sostenitori del Congresso Mondiale delle Famiglie di circa 50.000, secondo le prime informazioni.

Anche sul piano internazionale, le notizie si presentano tutt’altro che rassicuranti per gli abortisti: l’Amministrazione Trump, due giorni dopo l’insperata vittoria sulla questione del cosiddetto Russiagate (qui) vale a dire il deposito del rapporto finale del Procuratore speciale, Robert Mueller, nel quale si dichiara che non esistono prove che il Presidente e/o la sua campagna elettorale abbiano coinvolto la Russia nelle elezioni del 2016 (24 marzo 2019), riprende la guerra all’aborto su scala planetaria, che aveva incominciato all’indomani dell’insediamento. Il 26 marzo u.s., il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha annunciato che saranno colpite le organizzazioni, anche internazionali, che finanziano le associazioni che all’estero praticano o promuovono l’aborto oppure ne fanno oggetto di informazione promozionale; queste ultime si erano già viste congelare completamente tutti i fondi federali immediatamente dopo l’insediamento della nuova Presidenza.

Anche l’Amministrazione di Bush figlio aveva preso provvedimenti analoghi, ma il clima internazionale era molto diverso e, almeno su questo terreno, si era ritrovata completamente isolata, tanto che Barack Hussein Obama, una volta divenuto Presidente, aveva potuto smantellare tutto il lavoro compiuto e riprendere, come prima iniziativa in assoluto, a finanziare le organizzazioni abortiste. Oggi, però, la situazione completamente differente: la Russia di Vladimir Putin si è fortemente rafforzata e costituisce un modello politico che, pure in questo campo, esercita una forte attrattiva nei confronti di molti partiti europei; in Europa centrale le forze politiche di ispirazione cristiana e, comunque, favorevole al rafforzamento della famiglia e della natalità sono stabilmente al governo; in Europa occidentale le formazioni cosiddette “sovraniste” si stanno rafforzando e la questione della lotta al declino demografico è sempre più all’ordine del giorno; in Italia, infine, lo stesso Matteo Salvini, proprio a Verona, ha indicato, su questo argomento, l’Ungheria di Viktor Orbán come un modello anche per il nostro Paese.

La strada per un’inversione di tendenza sui temi eticamente sensibili è ancora lunga ed irta di ostacoli, ma molti segnali indicano la possibilità che, in tempi non eccessivamente lunghi, la battaglia possa essere combattuta e, forse, persino vinta.

 

 

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