Il controrivoluzionario Clemente Solaro della Margarita

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Inizia col breve cenno dedicato alla maiuscola figura di filosofo, storico, giurista, ministro, diplomatico e statista di Clemente Solaro della Margarita, una prima serie di veloci cenni dedicati a pensatori o uomini d’azione che negli Stati sabaudi hanno difeso e diffuso una visione tradizionalista e contrastato il progredire di idealità rivoluzionarie, modernistiche e un progressismo che, in pieno contrasto con le idealità che connotavano quello che convenzionalmente viene definito l’antico regime, ha condotto passo a passo il mondo verso questioni ambientali altrimenti impensabili.

La responsabilità del potenziale disastro  non è dei conservatori ma dei “rivoluzionari”, delle idee di progresso scientifico e tecnologico o di sfruttamento indiscriminato delle risorse  che in antico regime non si potevano neppure concepire, della visione utilitaristica e monogenerazionale estranea al vecchio regime, in cui si pensava al futuro quale parte integrante del presente [e del passato]; la responsabilità è degli affaristi che hanno visto e vedono nel progresso tecnologico  business e guadagni senza curarsi della sostenibilità al di là della propria vita stessa; la responsabilità va attribuita, insomma, ai “progressisti” del passato, ai globalisti di oggi …

Il Solaro, ad esempio, non negava – esplicitamente e a stampa – di sfruttare il telegrafo o il vapore che gli consentiva spostamenti rapidissimi, tuttavia era lucidamente avverso a un progresso incondizionato e finalizzato all’interesse di pochi, sensibile, invece, a quello del proprio Paese in generale, analizzati e soppestati pro e contro.

Lucide, efficaci e universalmente condivise regole e norme proteggevano Paese per Paese e Stato per Stato la natura, le acque (i fiumi venivano dragati!), i boschi… insomma, il dominio e la cura dell’ambiente come normalmente dovrebbe essere, metodi che potrebbero essere un faro per tutti coloro che han fatto dell’ecologismo una religione.

Pur registrandosi oggi conflitti di pericolosità anteriormente impensabile, a fianco di crisi che comprendono la maggior parte delle attività umane, vi sono nel mondo governanti e movimenti di pensiero che sembrano considerare quali emergenziali priorità non queste congiunture, ma la «cancel culture / cultura della cancellazione», il politicamente corretto, le ideologie “gender”. La cultura della cancellazione è, così, propagata da un vento innaturale e violento, del quale si possono forse individuare gli obiettivi finali, ma non pienamente chi ne padroneggi e diriga la spinta. Questa forza artificiale, prepotente e capace di condizionare e indirizzare le menti più deboli, conformiste e influenzabili è ostile a qualunque traccia del passato che non si concili con le più folli assurdità e arroganze del politically correct. Nei suoi squilibri e artifici rientrano persino – sotto il controllo e le censure di un’occhiuta gendarmeria mediatica sempre pronta a colpire – la contestazione o negazione dei più elementari e ovvi stati di natura, oppure addirittura l’adozione di patologiche forme linguistiche (delle quali l’utilizzo dello schwa, che si comincia a vedere in diversi casi, è un esempio). Bersaglio privilegiato dei propositi di disorientare l’umanità nella percezione della realtà sono, superfluo dirlo, i giovani. Per la “cancel culture” le mentalità, convinzioni, fede, valori, pensiero a cui si sono ispirate le genti del passato, attraversando i secoli, sono passibili di una completa rimozione. Senza eccezione per le testimonianze storiche, materiali, artistiche, monumentali, bibliografiche, onomastiche, toponomastiche e via dicendo.

In simile contesto la conservazione e la tutela di visioni e di testimonianze tangibili del tempo andato assumono una sempre maggiore rilevanza. Tra le seconde, particolarmente elevato è il valore delle biblioteche e degli archivi “fisici”. Esiste, infatti, il concreto rischio che nell’arco di un determinato percorso temporale (del quale si può essere dubbiosi circa la durata ma assai meno con riferimento agli esiti) essi divengano semplici depositi, sempre meno facilmente accessibili, perché ogni testo, a stampa o manoscritto finirà per essere disponibile in rete. La massiccia digitalizzazione in corso, riguardante precipuamente i volumi stampati, ha il principale attore mondiale in Google Books, pur essendone ormai attivi protagonisti innumerevoli soggetti pubblici e privati. La capillare digitalizzazione compiuta e in corso è uno strumento formidabile – e oggi perlopiù completamente gratuito – di conoscenza. Quanto alla gratuità vi è chi ritiene che sia solo “passeggera” e che presto o tardi l’accesso ai bacini del sapere digitalizzati finirà per avere un costo – diretto – per gli utenti, verosimilmente tanto più elevato quanto più i volumi “fisici” diverranno meno agevolmente accessibili. Ma la gratuità o no non rappresenta la maggiore criticità a cui guardare: la prevedibile rarefazione dei testi originali a stampa o l’indisponibilità per dirette consultazioni di manoscritti e documenti d’archivio potrebbero rappresentare un problema potenzialmente ben più grave, ad esempio per l’integrità e la piena corrispondenza del loro dettato, specialmente con riferimento ai manoscritti, tra l’altro mentre si comincia ad avere notizia di applicazioni software – dagli scopi non facilmente comprensibili – capaci di riprodurre fedelmente forme calligrafiche e stilistiche di documenti antichi e moderni.

In simile contesto, per non perdere del tutto la bussola, la gelosa conservazione “fisica” di testi, fonti e documenti non può che essere consigliabile e fondamentale, divenendo imperativa ove ci si riferisca a opere maggiormente in disaccordo con le descritte “mode” contemporanee. La stessa storia del mondo cattolico corre il rischio, ove non si tengano nell’opportuna considerazione i testi che ne danno una non faziosa testimonianza, di essere presentata da angolazioni settarie e dolose. Anche la Chiesa “ufficiale” ha contribuito in un recente passato, con piccoli semi, al germogliare della cultura della cancellazione, all’insegna di un meaculpismo del tutto unilaterale: una sorta di «controtestimonianza» nei confronti del Cristianesimo: giustificata e perdonata ogni aggressione nei suoi confronti, stigmatizzata ogni azione di legittima difesa, per esempio guardando alle Crociate, alle lotte di religione, alla Controriforma.

In uno scenario calamitoso, guardando al Piemonte e agli Stati sabaudi in generale, non mancano autori i cui scritti possono costituire altrettanti cardini su cui fondare visioni non “al passato” ma “al futuro” e l’esemplare figura del Solaro della Margarita, menzionato in apertura dei presenti appunti, merita di aprire la serie di quanti, da posizioni non scontate e non necessariamente univoche, hanno difeso la “tradizione”.

Solaro (Cuneo, 1792 – Torino, 1869), un cattolico di ferro, è considerato uno degli uomini politici e di Stato più significativi del Piemonte ottocentesco. Fu a lungo ministro e primo segretario per gli affari esteri di Re Carlo Alberto e riuscì, sinché restò in tale posizione, a controbilanciare l’azione talora estremista dei “liberali”. Fu, per la sua attività di governo e per i suoi scritti, una colonna della compagine reazionaria e legittimista; il suo pensiero è ricco di sfumature e raramente scontato. Molti si servirono di lui, in chiave positiva o negativa, per sostenere le proprie idee. Egli costituì un punto di riferimento per i monarchici tradizionalisti, fu considerato dai cattolici integralisti come esempio di fedeltà alla Santa Sede e venne, talora a sproposito, utilizzato dai nazionalisti per sostenere talune loro teorie. Anche alcuni teorici fascisti fecero riferimento a lui, «ora come testimonio antico della nuova disciplina statale, ora come sinonimo di vecchierie ridicole e tuttavia importanti».

Per contro, Solaro fu detestato dai liberali e agitato come spauracchio politico-letterario ed esempio di estremo oscurantismo da socialisti e comunisti. Vi è chi gli riconosce un notevole ruolo, come Gian Mario Bravo, che lo definisce «massimo rappresentante politico della reazione» e chi, come Adolfo Omodeo, tenta piuttosto di svuotarne il significato, affermando che egli ebbe la fisionomia più che di un «mostro reazionario […] d’un mediocre dottrinario scolastico dell’assolutismo, di un ligneo uomo di fattura gesuitica». Sulla lunghezza d’onda di Omodeo troviamo peraltro storici e pensatori appartenenti a matrici politiche diverse, che hanno un comune denominatore nell’avversione per i rappresentanti del conservatorismo cattolico, siano essi lo stesso Solaro, il principe di Canosa o Monaldo Leopardi.

L’opera solariana, sinché l’autore fu in vita, non conobbe alti e bassi: fu sempre in auge presso i conservatori; fu sempre aborrita dai liberali, mazziniani e socialisti. La vittoria a tutto campo di questi ultimi diede inizio a un lungo periodo di demonizzazione, cui seguirono però momenti di rivalutazione destinati a lasciare un segno profondo. A indurre nel secolo scorso una vasta comunità di studiosi a riconsiderare la figura del Solaro, concorsero in particolare due opere. Nel 1931 una vasta biografia pubblicata da Carlo Lovera di Maria e Ilario Rinieri (che Gramsci criticò, vedendo in essa lo «scopo attuale di rafforzare certe tendenze reazionarie nell’interpretazione del Risorgimento») e, nel 1955, un libro di Michele Monaco (Clemente Solaro della Margarita. Pensiero ed azione di un cattolico di fronte al Risorgimento italiano). L’opera e la biografia del Solaro non cessano, comunque, di suscitare interesse: esse continuano ad essere oggetto di nuovi studi e approfondimenti. Tra i quali si deve almeno ricordare, da ultimo, il volume di Paolo Martinucci, Contro «lo spirito di disordine» al servizio della patria. Il conte Clemente Solaro della Margarita (D’Ettoris Editori, 2021, con prefazione di Mauro Ronco).

Da più parti si vorrebbe che il pensiero del Solaro fosse sepolto per sempre. Anche molti di coloro che più lo detestano, non gli negano tuttavia stima e rispetto. Di lui sono generalmente riconosciuti ed apprezzati almeno la coerenza, la lealtà, l’onestà inattaccabile e il coraggio che seppe dimostrare in molte occasioni (ad esempio quando, nel periodo di massima potenza di Napoleone, divenne in Piemonte il promotore di attività e iniziative antinapoleoniche e antifrancesi a tutela della propria patria e dei propri connazionali).

La prima opera del Solaro quale scrittore di questioni politiche fu Memorandum storico-politico, pubblicato nel 1851 e più volte ristampato, in cui sono fedelmente narrati i principali avvenimenti che segnarono la sua attività di governo, tra il febbraio del 1835 e l’ottobre del 1847. Questo libro, basato su fatti e documenti, col suo stile talora aspro e tagliente e con la sua difesa ad oltranza dell’antico regime, diede non poco sui nervi a giobertiani e liberali e fu accolto dalla stampa progressista con critiche feroci e ingiuriose. Il modello di progresso a cui guardava il Solaro era, del resto, qualcosa di radicalmente diverso da quello a cui si riferivano i suoi antagonisti e con esso del tutto inconciliabile. A rileggere, testimoni del mondo di oggi, alcune sue considerazioni, non se ne potrebbe negare la chiaroveggenza.

Nel 1853 uscirono gli Avvedimenti politici (di cui si fecero numerose edizioni) che poterono essere letti come una tra le più dure sfide alle mentalità che in quel tempo si avviavano a essere dominanti e che rappresentarono un tentativo di creare la base filosofica della politica solariana. Nel 1854 videro la luce le Questioni di Stato, cui seguirono, dopo qualche anno, alcuni brevi scritti, come quelli contro la cessione di Nizza e Savoia alla Francia e contro la convenzione italo-francese del settembre 1864, che spogliò Torino del ruolo di capitale d’Italia. Nel condannare la cessione Solaro dichiarò «Spero che non sarà separazione eterna», aggiungendo «le sorti dei popoli non sono in mano degli uomini, ma in quelle di Dio». Oggi la speranza del Solaro può divenire in qualche modo realtà. Mentre gli europei vanno in cerca di una loro unità, i territori che un tempo componevano gli Stati sabaudi, non più divisi da barriere politiche, potranno, se si vorrà suscitarne la volontà (fermenti in tal senso già si riscontrano su entrambi i versanti dei monti e sino al Varo) restituire all’Europa una regione storico-culturale del «continente Alpi» (secondo una definizione braudeliana) ricca di connotati originali e protagonista non trascurabile delle sue millenarie vicende.

Risalgono al 1863 e ‘64 i due ponderosi volumi intitolati L’uomo di Stato, che costituiscono il lavoro più completo e ricco di suggestioni del pensatore. Religione, giustizia, disinteresse, lealtà, onestà, coerenza, imparzialità sono i valori chiave cui dovevano ispirarsi, secondo Solaro, i governanti e i pubblici amministratori. Essi avevano il dovere – senza mai violare i diritti di altri popoli – di operare per garantire la libertà. Non la libertà “politica”, naturalmente, poiché lo statista credeva che la “vera” libertà poco avesse a che vedere, in realtà, con la sovranità popolare (e oggi se ne è ben coscienti, sarebbe difficile negarlo). I governanti dovevano, inoltre. assicurare la pace, la sicurezza, la piena indipendenza del proprio paese. Non ebbero torto, in fin dei conti, i citati Lovera e Rinieri nel definire L’uomo di Stato, con i suoi precetti apparentemente ovvi ma sempre meno frequentati dagli uomini di Stato, un’opera destinata a rimanere per sempre un monumento per chi l’ha scritta, «in cui ogni tempo ritrova qualche cosa del suo».

 

 

 

 

 

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