Claudio Borghi Aquilini, il brillante economista della Lega, e i mini Bot

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Come ci si sarebbe potuti aspettare, la Commissione europea, per bocca (o, meglio, per penna) di Valdis Dombrovskis, suo Vicepresidente e Commissario per la Stabilità finanziaria, i Servizi finanziari e il Mercato unico dei capitali, e Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e monetari, ha “bocciato” la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), in una lettera inviata al nostro Ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Il rilievo è, sostanzialmente, uno: avere previsto un deficit[1] di bilancio ritenuto eccessivo e, soprattutto, aver abbandonato il cosiddetto «percorso di aggiustamento» verso il pareggio di bilancio[2], vale a dire la politica di austerity applicata dai Governi precedenti, a partire da quello di Mario Monti, e, ancor di più, quella maggiormente rigida che tali Esecutivi si erano impegnati ad attuare, nella previsione, dimostratasi largamente erronea, di venire confermati dall’elettorato italiano.

Nella sostanza, i due Commissari non affermano che i deficit previsti siano irragionevoli, economicamente insostenibili o finanziariamente disastrosi, ma, semplicemente, che non sono in linea con quanto la Commissione pretende, vale a dire contraddicono la linea dell’austerità (di riduzione in miseria di gran parte della popolazione), che così bene ha funzionato in Grecia, come spudoratamente sostenuto dallo stesso organismo comunitario. Il problema, quindi, non è economico, ma politico: i vertici comunitari non possono accettare dall’Italia, in quanto designata a seguire le “virtuose” orme della Grecia, altra politica che non sia il cosiddetto «rigore».

Anche nell’uso delle parole si dimostra la tendenza alla sistematica disinformazione da parte della Sinarchia eurocratica. Il termine «rigore», ad esempio, sta ad indicare, di per sé, lo zelo, la puntigliosità, la determinazione e, nella sua accezione negativa, la rigidità con cui viene applicata una norma, lato sensu intesa. Risulta di ogni evidenza che il rigore è una sorta di moltiplicatore keynesiano[3]: moltiplicherà gli effetti positivi della norma buona e quelli negativi della cattiva regola. Per tornare all’Unione europea, non ha, quindi, senso dichiararsi a favore o contrari al rigore, senza specificare a quale politica economica lo si voglia riferire: si avranno, ovviamente, risultati diametralmente opposti a seguire rigorosamente una politica espansiva e di crescita o a fare altrettanto con una deflattiva[4].

Non è tanto che i burocrati di Bruxelles siano più rigorosi del nostro Governo, quanto che perseguono obiettivi diversi: i primi, sotto le mentite spoglie dei bilanci in pareggio, la riduzione in miseria delle popolazioni del Vecchio Continente, come voluto da Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre (1842-1909), ideatore e fondatore della Sinarchia, mentre il secondo persegue, sia pure con minor rigore, la crescita economica e l’elevazione del tenore di vita del popolo italiano. Lo scontro è, quindi, inevitabile.

Ad ascoltare i nostri mezzi di informazione, parrebbe che tutte le armi siano nelle mani degli eurocrati di Bruxelles: essi possono infliggerci sanzioni economiche, anche molto pesanti, che noi saremmo costretti a pagare, aggravando ulteriormente la nostra situazione economica e finanziaria; dal loro giudizio dipende, in larga misura, la valutazione che le maggiori agenzie di rating[5], dai cui responsi, a sua volta, dipende l’appetibilità, sul mercato, dei nostri titoli di debito pubblico, con conseguente possibile innalzamento dei tassi di interesse che saremmo costretti a pagare per finanziarci. Parrebbe proprio non esserci via d’uscita, salvo piegarsi alle ingiunzioni comunitarie, magari cercando di ottenere qualche “benigna” concessione, da vendere poi sul mercato elettorale interno, come hanno fatto, soprattutto, i Governi Renzi e Gentiloni.

Ma non è così, come dimostra l’attivismo rabbioso dei burocrati comunitari; persino l’ineffabile Governatore della Banca centrale europea, quel Mario Draghi, unico a godere di una certa, sia pure immeritata, popolarità anche in Italia, dopo aver utilmente cercato di influenzare in senso recessivo, anche con modalità meno compassate del suo solito, la stesura della Nota di aggiornamento del Def, si è, persino, recato di persona al Quirinale, per indurre il Capo dello Stato ad intervenire nel senso auspicato da Bruxelles. Tanta agitazione poco si addice a chi sia cosciente di avere in mano le carte migliori.

Che cosa, dunque, può impensierire tanto gli eurocrati? O, che, poi, è la medesima cosa, quali armi ha l’Italia da poter giocare contro di loro?

Poiché l’Unione europea non dispone di una potenza militare tale da consentirle di imporre il proprio volere agli Stati membri, la partita si gioca tutta sul piano della volontà politica. È ovvio che tale volontà può venire fiaccata anche “solo” colpendo l’economia di un Paese, con conseguente anche grave impoverimento della sua popolazione (è questa la funzione delle sanzioni economiche). Ciò che impensierisce i poteri comunitari è, quindi, la eventuale capacità dell’Italia di resistere alle turbolenze speculative dei mercati, indotte, all’occorrenza, dai sinarchi.

E, dunque, quale sarebbe l’arma economica in mano alla piccola Italia capace di spuntare la capacità distruttiva della speculazione? I rimedi possono essere molti, ma tutti giocati all’attacco, alzando il livello dello scontro, invece di cercare accomodamenti, proprio perché, in un contenzioso, la stessa ricerca del compromesso dimostrazione di debolezza, che induce, nella maggioranza dei casi, la controparte ad irrigidirsi ulteriormente, sperando, così, di ottenere ulteriori concessioni. Il rimedio che, in questa fase, maggiormente temono a Bruxelles ed a Francoforte è stato proposto, già parecchi mesi fa, da Claudio Borghi Aquilini, il brillante economista della Lega, il cui genio sta tutto nella semplicità e nella linearità dei suoi ragionamenti e delle misure da lui indicate: si tratta della proposta dei cosiddetti mini Bot (vedi qui).

Essi sarebbero dei titoli di debito pubblico di piccolo taglio (da €10, 20, 50, 100 e 500), senza scadenza e senza interessi, ai quali sarebbe riconosciuta, per legge, la compensabilità con qualunque debito nei confronti di ogni Pubblica Amministrazione. Nella proposta originaria, si sarebbero dovuti servire a pagare i debiti dello Stato nei confronti delle imprese private creditrici, ma il loro utilizzo è estendibile ad ogni tipo di debito pubblico.

I trattati internazionali che regolano l’adesione all’euro vietano, ovviamente, l’emissione di ogni moneta nazionale o locale, ma nulla dicono a riguardo del taglio dei titoli di debito pubblico. L’emissione dei mini Bot si configura come emissione di titoli di Stato, nel pieno rispetto delle norme comunitarie; nulla vieta che tali titoli siano privi di interesse ed immediatamente pagabili al portatore, sia pure con determinate modalità (la compensazione di debiti con la Pubblica Amministrazione). Non si tratta di emissione di moneta, in quanto nessuno, tranne il debitore (lo Stato) e le Amministrazioni Pubbliche, è obbligato ad accettarli in pagamento. Se, poi, essi vengono utilizzati unicamente per saldare i debiti dello Stato, la loro emissione non solo non aumenta il debito pubblico, ma, tendenzialmente, lo riduce, quanto meno del costo degli interessi.

Se tali titoli venissero utilizzati, non solo per pagare i debiti nei confronti delle aziende fornitrici dello Stato, ma anche per saldare il debito pubblico in scadenza, questo sottrarrebbe in maniera totale l’Italia dal ricatto dei mercati, dello spread e, in ultima analisi, dell’Unione europea. Quest’operazione, inoltre, costituirebbe la base di quel famoso «piano B», che tanto ha terrorizzato il Presidente Mattarella e tutti i servi della burocrazia, ma, a differenza di tutte le loro funeste previsioni, lungi dall’indebolire, economicamente e politicamente, l’Italia, la rafforzerebbe e le permetterebbe, quindi, di trattare da posizioni di forza con l’Unione europea.

Ecco che diviene chiara la malcelata paura degli eurocrati. La questione, come sempre, non è economica, ma di determinazione politica.

 

[1] Per deficit, deve intendersi l’eccesso di spesa (statuale) rispetto alle entrate dell’anno preso in considerazione.

[2] Per pareggio di bilancio, deve intendersi la parità tra entrate e uscite nell’anno considerato.

[3] Per John Maynard Keynes (1883-1946), economista inglese, il debito ha l’effetto di moltiplicare gli utili di un’attività redditizia e le perdite di una deficitaria.

[4] Per deflazione, deve intendersi la diminuzione dei prezzi, generata da un ristagno dell’economia e da una sovrapproduzione generalizzata; esempio classico è la crisi del ‘29. Strumenti deflattivi vengono utilizzati, normalmente, per correggere un eccesso di inflazione, che è, invece, l’aumento dei prezzi dovuto all’eccesso di liquidità circolante.

[5] Per agenzia di rating, deve intendersi una società privata di consulenza che emette valutazioni e giudizi, principalmente sulla solvibilità dei debitori, sia grandi aziende che Stati, tabellando tali responsi in una propria scala alfanumerica.

 

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2 commenti su “Claudio Borghi Aquilini, il brillante economista della Lega, e i mini Bot”

  1. È vero quella dei mini Bot è un’idea geniale che ci aiuterebbe a risolvere un po’ di problemini. Comunque bisognerà affrontare una volta per tutte di segare le sbarre e riacquistare la nostra piena libertà politica e spirituale. Sì voglio dire proprio spirituale a partire dalla famiglia, scuola, politica e tutto il resto. È categorico dobbiamo riprenderci la nostra sovranità totale.

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